Apprendiamo dal Corriere delle Comunicazioni, solitamente ben informato, che il 6 febbraio “Luigi Gubitosi ed Elisabetta Ripa hanno sottoscritto un non-disclosure agreement per avviare la discussione sulla possibile cooperazione reciproca”, ovvero un accordo di riservatezza che vincola le parti a non diffondere ad altri i contenuti dei colloqui, le informazioni condivise e gli accordi raggiunti.
Dopo che TIM ha passato quasi dieci anni a trastullarsi sul progetto di cablatura in fibra ottica del paese, in attesa di fantasmagorici finanziamenti pubblici, la politica ha dettato la nascita di Open Fiber, operatore “wholesale only” per il mercato dell’accesso in fibra di natura sostanzialmente pubblica, mettendo fine ad anni di attendismo. La reazione di TIM è stata blanda e inefficace, perdendo tutte le gare INFRATEL per la copertura delle aree a fallimento di mercato, creando solo dopo un anno con Fastweb la società Flash Fiber, proposta come concorrente diretta di Open Fiber in 29 città delle cosiddette “aree nere”, quelle più appetibili, mentre TIM realizza indipendentemente la rete FTTH anche altrove.
Se confermato quanto riportato nell’articolo del Corriere delle Comunicazioni, ci domandiamo quali scenari si stanno abbozzando per il futuro delle Tlc Italiane. Così come misteriosa è la posizione del governo, che non ha mai espresso pareri decisivi in merito alla vicenda.
Le ipotesi sono le più fantasiose come per esempio un accordo minimale che prevede la condivisione di parte delle infrastrutture messe in campo, lasciando che comunque ciascuno stenda la sua rete di accesso FTTH, oppure quella di una sola rete, evitando sanzioni da parte delle Agenzia per la concorrenza tramite quote azionarie, equilibrismi legali e procedurali. Per finire con la fusione delle organizzazioni e delle infrastrutture di Open Fiber con la corrispondente porzione di TIM, ipotesi definita “fantascienza” da diversi attori della vicenda.
Quale sia questa porzione, come possa essere effettivamente sezionata e che sorte spetti alla restante parte dell’ex monopolista, rimane tutto da definire. Di sicuro la fusione non potrebbe avvenire prima del famigerato “scorporo della rete” di cui in Telecom Italia si parla da anni senza che nessuno abbia mai avuto il coraggio di esplicitare o anche solo ipotizzare i confini.
Allo stato attuale gli azionisti principali TIM hanno dichiaratamente posizioni del tutto contrastanti e più che di fusione sarebbe meglio parlare di una con-fusione, alla quale siamo purtroppo oramai abituati. Certo è che nel costante clima di incertezza e di assenza di indicazioni chiare sia sul piano tecnico-organizzativo che su quello economico e strategico, i lavoratori continuano ad essere considerati come una fastidiosa gomma da masticare appiccicata sotto le scarpe da sedicenti manager, convinti che liberandosi di loro farebbero volare in alto il Gruppo.
Per noi di USB l’unica strada percorribile per garantire il rilancio del settore strategico delle TLC rimane quella della nazionalizzazione delle Telecomunicazioni, con uno Stato libero dal vincolo del profitto che garantisca un serio rilancio infrastrutturale indispensabile per il futuro del paese, il rispetto delle professionalità di TIM e la qualità dei servizi offerti.
USB dice no agli inciuci finanziari. I lavoratori escano dalla passività e dall’apatia, scientificamente voluta da organizzazioni sindacali complici che li vogliono sottomessi e ricattabili.
USB mette a disposizione dei lavoratori TIM la propria organizzazione, fin dalla prossima occasione del rinnovo delle cariche sindacali di maggio 2019, invitiamo i lavoratori non solo ad iscriversi a USB ma a dare il proprio contributo nelle lotte che, è certo, faremo di tutto per promuovere ogni volta se ne presenti l’occasione.
La rassegnazione non ci appartiene