Le concessioni nel loro versante di «marittime, lacuali e fluviali, per finalità turistico-ricreative» dovranno essere rimesse a gara entro il 31 dicembre 2023, data in cui andranno a scadenza le attuali. Le linee guida della nuova riforma sono state varate dal governo Draghi, nel nuovo decreto concorrenza, e ci aspettiamo un dibattito parlamentare molto feroce in cui la lobby dei balneari metterà in campo tutti i suoi legami politici per, gattopardescamente, far sì che tutto cambi per non cambiare nulla.
Si recepisce, in sostanza, la direttiva europea Bolkestein del 2006 che impone una liberalizzazione delle concessioni nel settore turistico, mettendo virtualmente in concorrenza i piccoli capitali italiani con il capitale transnazionale; la nostra preoccupazione va ovviamente a tutti quei lavoratori e lavoratrici che saranno coinvolti nel processo.
La proposta del Consiglio dei ministri recepisce le disposizioni del Consiglio di Stato che ha annullato le proroghe delle concessioni sul suolo demaniale, giudicate in contrasto con il diritto europeo. La riassegnazione delle concessioni dovrà avvenire tramite bando pubblico in una procedura che ha vari criteri di selezione.
Per il momento possiamo leggere alcune linee guida, che saranno sicuramente oggetto di discussione in Parlamento perché di fatto andranno a definire i punteggi d'accesso alle gare d'appalto.
Le linee guida riguardano l'esperienza professionale passata dei concessionari, individuata nella prevalente fonte reddituale, degli ultimi cinque anni, legata alla concessione demaniale; va detto che questo fattore, nel disegno di legge, non deve pregiudicare l'apertura alle gare a soggetti del terzo settore e non concessionari, che devono avere la possibilità di concorrere in modo paritetico.
Vi sono un paio di punti su cui occorre concentrare la nostra attenzione e riguardano, in primo luogo, la clausola della stabilità dei dipendenti “uscenti” con i nuovi concessionari, e le clausole sociali inserite nel disegno di leggere riguardanti «la salute e la sicurezza dei lavoratori».
In questo contesto ci sembra importante avviare una riflessione su questi punti, in quanto la continuità occupazionale è uno dei vincoli sociali che sono indicati nel nuovo disegno di legge.
Il primo elemento che è uno dei punti della nostra piattaforma sindacale, in cui mettiamo al centro il diritto di prelazione spettante, da CCNL, ai dipendenti che nelle passate stagioni avevano prestato il proprio lavoro ad un’impresa di settore.
Va inoltre affermato che con gli attuali ammortizzatori è molto difficile che sia garantito ad un lavoratore o ad una lavoratrice, tramite lo strumento della NASPI, una continuità reddituale per i mesi in cui non lavora; questo strumento è infatti completamente da rivedere in quanto garantisce la metà delle giornate lavorate al settantacinque per cento del salario a decrescere.
Troviamo lo strumento NASPI francamente insufficiente in un settore fortemente colpito dal nero e dal grigio, in cui le disoccupazioni sarebbero misere anche qualora vi fossero tutte le ore in busta.
Chiediamo perciò che venga avviata una radicale revisione degli ammortizzatori, in questo paese, dalla riforma della NASPI, fino all'estensione del reddito di cittadinanza ad una forma di reddito di base universale che spinga la contrattazione al rialzo e ponga lavoratori e lavoratrici fuori dalla ricattabilità.
L'altro punto è quello di mettere in campo una reale tutela per salute e sicurezza dei lavoratori: sappiamo infatti che questo settore è caratterizzato da forti tassi di lavoro nero e grigio e occorre avviare una vera e propria battaglia per l'emersione dei diritti. Estremamente problematico è parlarne in astratto, in un settore con giornate lavorative che raggiungono anche le 14 ore, e dove non vengono riconosciuti il diritto alla malattia e al giorno di riposo, generando una potenziale ecatombe di incidenti sul lavoro ed un rischio concreto per la vita di chi è impiegato nel settore.
In conclusione, è bene ricordare che in questo processo d'apertura concorrenziale non ci schiereremo né con l'oligopolio dei piccoli capitali autoctoni che per tanti anni, in maniera feudale, hanno fatto lauti profitti sulle spalle di lavoratori e lavoratrici, né con i capitali transnazionali che potrebbero scalzare i piccoli.
Il nostro punto di vista riguarda la messa in sicurezza e la tutela di lavoratori e lavoratrici che per tanti anni hanno visto i propri diritti negati, attraverso una reale applicazione delle clausole sociali per i bandi d'assegnazione.
Inoltre, è bene insistere su un punto centrale ovvero una gestione pubblica del suolo demaniale, in cui la proporzione di spiagge a libero accesso sia maggioritaria (almeno del cinquanta per cento) e l'appalto riguardi una minoranza complessiva dei litorali.
Occorre infatti immaginare una ripubblicizzazione del settore, che non è fantasia utopistica, se pensiamo che in Francia l'80% dei litorali è gestito dal pubblico.
Un grande problema con cui fa i conti l'Italia è la mancanza di una legge nazionale che stabilisca una proporzione tra spiagge libere e quelle destinante alle concessioni. Va detto che alcune regioni hanno introdotto leggi per fissare una quota minima di spiaggia libera, come nel caso virtuoso della Puglia dove è fissato al sessanta per cento.
Vi sono regioni come l'Emilia-Romagna, la Campania e la Liguria in cui il 70% del suolo demaniale è dato in gestione ai privati (Report Legambiente 2021).
Altro tema centrale è la questione dei canoni di locazione. Le concessioni hanno generato nel 2019 115 milioni di cui solo 83 milioni riscossi dallo Stato, a fronte però di un fatturato stimato in circa 15 miliardi di euro. Inoltre, dal 2007 le imprese balneari devono ancora versare 235 milioni di euro di canoni allo Stato.
La novità del 2021 è stata l'introduzione di canone minimo di 2500 euro annui nell'ottica del contrasto a canoni annuali irrisori, come quelli pagati da alcuni lidi in Costa Smeralda che si aggiravano sui 400 euro annuali.
Dobbiamo inoltre porre l'accento sulle trasformazioni ambientali avvenute nel settore, un dato su tutti è quello dell'erosione delle coste, dovuto all'intervento umano.
Dal 1970 ad oggi è infatti triplicato il numero delle coste erose in Italia, è si sono perduti 40 milioni di metri quadrati di spiagge. Inoltre, vi è aumento delle mareggiate e delle trombe d'aria che sono passate dalle 11 del 2012 alle 80 oggi. (Report Legambiente 2021).
L'erosione delle coste è peggiorata drasticamente dall'utilizzo di barriere rigide, come muri o infrastrutture, alcune messe in piedi proprio dalle imprese balneari anche in un’ottica di lottizzazione e per impedire il libero accesso alle spiagge.
Il peso delle costruzioni infrastrutturali così come la costruzione di edifici a ridosso del mare, non fa che aumentare l'erosione delle coste.
Questo quadro complessivo ci porta a porre l'accento sulla necessità di ripubblicizzare il settore, ribadendo la necessità di avere una legge nazionale, che imponga una quota maggioritaria al pubblico, nella gestione delle spiagge a libero accesso.
Per quanto riguarda le gare d'appalto è necessario insistere sui vincoli sociali legati alla tutela del lavoro e di un reale diritto di prelazione che garantisca la stabilità occupazionale del settore.
La gestione pubblica delle spiagge è inoltre necessaria da un punto di vista ambientale per contrastare l'erosione delle coste e tutelare la biodiversità marittima.
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