Nel 2008 Berlusconi vinse le politiche sventolando la bandiera stracciona dei cosiddetti capitani coraggiosi di Cai, quelli che fattasi regalare la good company mollarono l’osso spolpato lasciando un buco di 5 miliardi. Dieci anni dopo su Alitalia, dopo la litania renziana di Calenda, regna invece il silenzio elettorale.
L’Unione Sindacale di Base scrive ora una lettera aperta ai candidati premier e ai candidati governatore, per sottolineare che la necessità di svendere ai privati stranieri è una favola governativa sorretta da numeri taroccati e che nazionalizzare non solo si deve, ma si può.
I dati Enac incrociati con gli studi del professor Ugo Arrigo dell’Università di Milano Bicocca, inchiodano tutti alla realtà.
Nei 10 anni dalla sciagurata privatizzazione del 2008 sono stati bruciati 12,5 miliardi di denaro pubblico tra ammortizzatori sociali per le migliaia di licenziamenti (3,5 miliardi) e mancati introiti fiscali (600 milioni l’anno per la sola Alitalia, 900 per l’insieme dei vettori italiani).
Denaro pubblico dilapidato per finanziare piani privati che hanno distrutto un settore ancora oggi paradossalmente definito sul sito del Mit “di importanza strategica per lo sviluppo economico e sociale” del Paese.
C’è poi il conto delle ingenti perdite derivanti dall’impatto degli sciagurati piani industriali di Alitalia sul fatturato del settore turismo: 10 miliardi l’anno di mancate tassazioni a causa del peggioramento dei collegamenti da e per l’Italia, soprattutto intercontinentali.
Il raffronto con un paese molto vicino come la Spagna, dice che il fatturato nazionale aeroportuale italiano è inferiore di 45 miliardi (dato 2015) a quello iberico.
Il danno totale in un decennio è dunque superiore ai 100 miliardi di euro.
Nello stesso periodo mentre il traffico passeggeri aumentava del 29%, a 175 milioni, le compagnie italiane perdevano 18 milioni di passeggeri crollando dal 35 al 17% del mercato. La parte del leone l’hanno fatta le low cost - tutte con sede estera, moltissime non pagano tasse e contributi in Italia - con 82 milioni di biglietti.
Il mercato quindi è florido ma Alitalia è stata smantellata favorendo gli interessi stranieri. L'attuale commissariamento ha dimostrato, al contrario, che la compagnia sa fare il proprio mestiere più che bene.
Una sporca faccenda che ricorda il secondo dopoguerra, quando Enrico Mattei fu incaricato di liquidare l’Agip. La storia è nota: Mattei rilanciò le azioni italiane in campo energetico e fece prima di AGIP e poi di ENI un competitore di prima classe su scala mondiale.
Oggi non c’è un Mattei a occuparsi di Alitalia, ma un Matteo che ha deciso, in sintonia con i governi precedenti e con quello uscente, di rinunciare a un volano economico e a migliaia di posti di lavoro.
Con la lettera aperta alla politica l’Unione Sindacale di Base ribadisce che Alitalia deve vivere e svilupparsi, e torna a chiedere:
• La nazionalizzazione di Alitalia, lo stop alla privatizzazione dell’Enav e l’avvio della riflessione su un’unica authority aeroportuale in mani pubbliche;
• Il rilancio del sistema di manutenzione aeronautico nazionale;
• Un sistema di regole unico valido e applicabile per tutti gli operatori presenti in Italia e il blocco della politica degli appalti e subappalti.
• Il riequilibrio della catena del valore tra chi detiene le royalties aeroportuali (quasi tutti privati) e chi gestisce la manodopera.
Queste sono le nostre richieste che da tre anni giacciono inascoltate.
Unione Sindacale di Base
NB I dati completi saranno diffusi dopo l’invio della lettera aperta.