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USB Pensionati e la Legge di Bilancio 2023

Roma,

Documento su legge di bilancio 2023

 

Con questa legge di bilancio il Governo interviene sul sistema pensionistico con una serie di provvedimenti che confermano, ancora una volta, le decisioni assunte dai precedenti governi, successivamente all’approvazione delle leggi Dini e Fornero.

Si tratta, ancora una volta, di una riforma di tipo parametrale, limitata alla parziale modifica di alcuni requisiti, che rinuncia a mettere mano all’intero sistema uscito dalle riforme Dini e Fornero con la modifica strutturale sia del diritto che della misura.

Ancora una volta le future generazioni, penalizzate nei bassi salari, dovranno fare i conti con le tabelle sull’aspettativa di vita e con il sistema contributivo, che determinano già oggi pensioni da fame.

Si continua con l’impegno di attenuare gli effetti della riforma Fornero, senza tuttavia abrogarla, limitandosi all’introduzione sperimentale ed alla parziale modifica delle forme di flessibilità in uscita dal lavoro, senza intervenire contemporaneamente con una revisione del meccanismo dell’aspettativa di vita e della modalità di calcolo contributivo.

L’unico intervento sulla misura è il cosiddetto adeguamento automatico delle pensioni al valore dell’inflazione con il quale, ancora una volta, si è fatto cassa con le risorse del sistema pensionistico, ridefinendo in perdita il valore delle pensioni in essere, con la modifica delle fasce di indicizzazione, il semplice adeguamento delle pensioni al costo della vita.

Un costo della vita che è stato fissato dal ministro del tesoro al 7,3% ma che nella realtà ha ormai raggiunto il 12%, differenza che potrà forse essere recuperata con l’adeguamento del 2024, ma rappresenta ora un chiarissimo impoverimento delle pensioni, con l’immediata perdita secca del potere di acquisto.

Le tabelle dell’Istat riferite al 2018, fissano al 36,3% il numero dei pensionati che riceve ogni mese meno di 1.000 euro lordi, ed il 12,2% che non supera i 500,00 euro.

L’adozione dei nuovi parametri 62 anni di età e 41 di contribuzione, la cosiddetta quota 103, presenta ancora le stesse incongruenze delle precedenti quote 100 e 102, e conferma la linea di continuità sul sistema pensionistico dei precedenti governi.

Si tratta di un intervento limitato ad evitare il gradone che si sarebbe venuto a creare con la fine di quota 102, ed il perdurare della legge Fornero, così come accadde con l’esaurirsi di quota 100, con la riformulazione ormai di prassi di nuove condizioni di flessibilità in via sperimentale, rinunciando ad una riforma complessiva.

Si utilizzano le risorse del sistema previdenziale come copertura per la defiscalizzazione dei contributi previdenziali dovuti dalle aziende, per favorire le nuove assunzioni, in collegamento anche con l’intervento di abrogazione del reddito di cittadinanza.

Si toglie il reddito di cittadinanza e si regala la decontribuzione alle imprese.

Si rinnova, con il cosiddetto cuneo fiscale, la partita di giro tra aumento salariale e trasferimento parziale dei contributi previdenziali nella retribuzione.

Incomprensibile lo stravolgimento della cosiddetta opzione donna che ne esce devastata anche attraverso l’aggancio strumentale alla maternità.

Niente in favore di un minor prelievo fiscale sulle pensioni che ha ormai superato i 50 miliardi, niente su temi quali la revisione della reversibilità o l’immediato riconoscimento del TFR/TFS, anche attraverso il fondo di garanzia dell’INPS.

Ancora una volta un’occasione mancata.

 

Di seguito l’analisi sui singoli provvedimenti con una scheda finale sul meccanismo di rivalutazione delle pensioni.

I valori riportati devono essere considerati come indicativi.

Per la reale attuazione delle nuove misure si dovrà comunque attendere una circolare dell’INPS.

 

Esonero parziale dei contributi previdenziali a carico dei lavoratori dipendenti

 

com. 281.

In via eccezionale, per i periodi di paga dal 1° gennaio 2023 al 31 dicembre 2023, l’esonero sulla quota dei contributi previdenziali per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti a carico del lavoratore, previsto dall’articolo 1, comma 121, della legge 30 dicembre 2021, n. 234, è riconosciuto nella misura di 2 punti percentuali con i medesimi criteri e modalità di cui al citato articolo 1, comma 121, della legge n. 234 del 2021 ed è incrementato di un ulteriore punto percentuale, a condizione che la retribuzione imponibile, parametrata su base mensile per tredici mensilità, non ecceda l’importo mensile di 1.923 euro, maggiorato, per la competenza del mese di dicembre, del rateo di tredicesima. Resta ferma l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche”

 

Esonero versamento dei contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro

com. 294.Al fine di promuovere l’inserimento stabile nel mercato del lavoro dei beneficiari del reddito di cittadinanza. (..)”

 

Confermando la volontà di intervenire sul reddito di cittadinanza, ai datori di lavoro privati che, entro il 31 dicembre 2023, assumono i percettori del reddito con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, è riconosciuto, per un periodo massimo di dodici mesi, l'esonero dal versamento del 100% dei complessivi contributi previdenziali a loro carico.

 

Sottolineata la partita di giro e la scarsa incidenza sulle retribuzioni dei lavoratori con l’esonero del versamento pari al 2% della quota contributiva a loro carico ai fini previdenziali com.281, ben più rilevante è il mancato versamento contributivo previsto al com.294, relativo al sostanzioso beneficio in favore dei datori di lavoro, con l’esenzione totale dei contributi previdenziali.

Due scelte che inevitabilmente comporteranno un aggravio sul bilancio previdenziale e possibili conseguenze negative sul futuro rateo di pensione, visto il regime di calcolo fondato sul sistema contributivo.

Il costo del mancato versamento dei contributi si accolla, anche in prospettiva, al sistema pensionistico nel suo complesso, trovando già oggi una prima parziale copertura finanziaria attraverso la revisione delle fasce di indicizzazione di rivalutazione automatica delle pensioni.

Intervento che la Banca d’Italia ha stimato in un risparmio di ben 3,3 miliardi di euro.

Si fa cassa ancora una volta con le risorse previdenziali.

 

Opzione donna.

com. 292.

 

Cambiano i requisiti previsti dalla previgente normativa. (DECRETO-LEGGE 28 gennaio 2019, n. 4)

Il diritto al trattamento pensionistico non si raggiunge più con 35 anni di contributi e 58 anni di età (59 per le lavoratrici autonome), ma con una contribuzione pari o superiore a 35 anni e un’età anagrafica di 60 anni, ridotta di un anno per ogni figlio, fino ad un massimo di due, requisiti che devono essere posseduti entro il 31/12/2022.

 

Inoltre, a tali requisiti si aggiungono delle condizioni:

 

assistere da almeno sei mesi il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap grave, ovvero un parente o un affine di secondo grado convivente qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto 70 anni oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti (c.d. caregiver);

avere una riduzione della capacità lavorativa uguale o superiore al 74% (accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell’invalidità civile);

essere lavoratrici licenziate o dipendenti da imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale presso la struttura per la crisi d’impresa di cui all’articolo 1, comma 852, della legge 27 dicembre 2006, n. 296.

Un provvedimento che stravolge completamente il meccanismo rispetto a quanto previsto in precedenza, avendo modificato in aumento l’età di pensionamento con l’aggancio alla maternità per abbassare il requisito e ponendo alcune condizioni, che non erano presenti prima e che fanno assomigliare tale provvedimento alla cosiddetta Ape sociale, facendone quasi un doppione.

Resta fermo, inoltre, il principio che chiunque acceda a tale modalità di uscita riceverà un rateo pensionistico calcolato su tutta l’anzianità lavorativa con il sistema contributivo, ovvero con una perdita di circa il 40/45% rispetto alla retribuzione.

Quindi, visti i bassi salari, una pensione da fame.

 

 

APE SOCIALE

com. 288

 

Viene confermata la precedente normativa.

È un’indennità corrisposta a chi ha raggiunto i 63 anni di età e versato almeno 30 anni di contributi o 36 nel caso di addetti ad attività gravose. Condizioni che per le donne si riducono di 12 mesi per ciascun figlio nel limite massimo di 2 anni.

Insieme a tali requisiti ci sono poi una serie di condizioni collegate tra cui;

 

  • Si trova in disoccupazione per licenziamento collettivo, per dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale ed ha smesso di ricevere da almeno tre mesi l’indennità di disoccupazione

  • Assiste da oltre 6 mesi un congiunto (coniuge, partner unito civilmente, parente con handicap grave) convivente o affine entro il 2° grado

  • Ha svolto un’attività gravosa per almeno 6 anni negli ultimi 7 o almeno 7 negli ultimi 10

 

L’importo dell’indennità è pari a quello della pensione, che sarebbe spettata al momento della domanda di ape sociale fino ad un massimo di 1.500 euro.

L’indennità spetta fino al raggiungimento dell’età pensionabile (67 anni) ed in quel momento sarà necessario presentare domanda di pensione.

La domanda di ape sociale dovrà essere presentata essendo in possesso dei requisiti richiesti entro il

31 marzo 2023

15 luglio 2023

30 novembre 2023

 

Trattamento di pensione anticipata flessibile.

Art. 14.1. (Disposizioni in materia di accesso al trattamento di pensione anticipata flessibile)

 

L’intervento legislativo consente, in via sperimentale e solo per il 2023, di anticipare l’uscita ad un’età anagrafica di 62 anni e anzianità contributiva di 41 anni.

I requisiti devono essere raggiunti entrambi.

 

 

Una disposizione che ripropone lo stesso errore presente in quota 100 e 102.

Anche in questo caso chi dovesse maturare entro dicembre 2023 solo 40 anni di contribuzione e 63 anni di età, pur avendo raggiunto quota 103 e superato il requisito anagrafico richiesto, non potrà accedere alla pensione anticipata prevista nella nuova norma non avendo ancora maturato i 41 anni di contribuzione.

 

Si conferma definitivamente la quota dei 41 anni di contribuzione come requisito pensionistico, già presente nella “legge Fornero” che per altro, senza alcun vincolo con l’età anagrafica, consente già alle donne l’uscita anticipata con un’anzianità contributiva a 41 anni e 10 mesi.

La flessibilità introdotta sperimentalmente solo per il 2023, appare quindi più favorevole solo per gli uomini, rispetto al requisito contributivo dei 42 anni e 10 mesi previsto dalla legge Fornero, ma vincola anche in questo caso l’uscita al possesso dei 62 anni di età che la Fornero non prevede.

 

Chi uscirà secondo la nuova norma riceverà un importo pensionistico non superiore a cinque volte il trattamento minimo previsto a legislazione vigente, per tutto il periodo relativo alle mensilità di anticipo del pensionamento rispetto al momento in cui tale diritto sarebbe maturato appunto con la “legge Fornero”, termine dal quale sarà riconosciuto il trattamento spettante all’uscita ordinaria.

 

Con questa ulteriore sperimentazione, dopo quota 100 e 102, non viene abrogata la “legge Fornero” e si conferma l’età anagrafica di 67 anni come requisito per il pensionamento, insieme con la sua revisione periodica in funzione dell’aspettativa di vita che anche nella nuova tabella per il 2023 e 2024 individua in 71 anni il tetto per la definizione dei coefficienti di trasformazione del montante contributivo utili per il calcolo dell’importo della pensione.

Argomento che non viene affatto toccato dall’intervento del governo.

 

Rinuncia all’accredito contributivo (incentivo al trattenimento al lavoro)

com.286

I lavoratori dipendenti che, trovandosi nella condizione di poter accedere alla pensione anticipata flessibile, rimangono al lavoro possono rinunciare al versamento a proprio carico dell’accredito contributivo verso l’INPS e vedersi riconosciuto tale importo in busta paga

(..)la somma corrispondente alla quota di con­tribuzione a carico del lavoratore che il datore di lavoro avrebbe dovuto versare al­l’ente previdenziale, qualora non fosse stata esercitata la predetta facoltà, è corrisposta interamente al lavoratore.”

 

Anche in questo caso, come nei precedenti commi 281 e 294 si tratta di una partita di giro, con il mancato versamento dei contributi ai fini previdenziali che viene trasferito ora nella retribuzione, operazione che rischia di doversi scontare successivamente sull’importo del futuro trattamento pensionistico.

 

 

 

 

Rivalutazione automatica delle pensioni

Com.309.

 

L’indicizzazione automatica della pensione al costo della vita si realizza con una profonda revisione del meccanismo automatico di rivalutazione delle pensioni.

 

Con tale intervento è stato modificato il sistema approvato con la legge 27 dicembre 2019 n.160 che prevedeva tre scaglioni

 

  1. nella misura del 100% per le fasce di importo dei trattamenti pensionistici fino a quattro volte il trattamento minimo INPS;

  2. nella misura del 90% per le fasce di importo dei trattamenti pensionistici compresi tra quattro e cinque volte il trattamento minimo INPS;

  3. nella misura del 75% per le fasce di importo dei trattamenti pensionistici superiori a cinque volte il predetto trattamento minimo

 

Il nuovo automatismo varato con la legge di bilancio appena approvata prevede invece sei scaglioni attribuendo a ciascuno la percentuale di riconoscimento del valore dell’inflazione fissata al 7,3 dal ministro del tesoro

Le pensioni inferiori o pari a quattro volte il trattamento minimo si vedono riconosciuto il 100% del valore dell’inflazione.

Le pensioni comprese tra quattro e cinque volte il minimo perdono un 5% passando dal 90% all’85%

Per quelle ricomprese tra 5 e 6 volte il minimo si passa dal 75 % al 53%

Per quelle ricomprese tra 6 e 8 volte il minimo dal 75% al 47%

Per quelle ricomprese tra 8 e 10 volte il minimo dal 75% al 37%

Per quelle superiori a 10 volte il minimo dal 75% al 32%

La perdita è evidente per tutti ma in particolare per quelle pensioni ricomprese tra 5 e 8 volte la pensione minima (tra 2.626,9 e 4.203,04 lordi).

La perdita complessiva ha fatto dire alla Banca d’Italia che il Governo ottiene un risparmio di circa 3,3 miliardi sull’adeguamento delle pensioni al costo della vita, per cui anche questa legge di bilancio, non modificando affatto la “legge Fornero”, finisce per fare cassa ancora una volta sulle pensioni.

Si deve sottolineare che non stiamo parlando di un aumento delle pensioni ma solo del loro adeguamento al costo della vita che per alcuni sarà pari ad una percentuale ridotta rispetto a quella fissata dallo stesso ministro del tesoro, che già di per sé risulta sottostimata rispetto a quella reale.

Di fatto, senza alcuna rispondenza al ben più alto costo della vita, si stabilisce una perdita del potere di acquisto delle pensioni a partire da quelle appena superiori a quattro volte il trattamento minimo

Rimane assolutamente senza risposta un vero intervento sulle pensioni minime per le quali l’aumento automatico produrrà un incremento a regime di soli 38.35 euro.

L’aumento una tantum a 597,33 previsto al com.310 dovrebbe inoltre far indignare ancora di più, visto che tale incremento è riconosciuto solo per il 2023 e solo per gli ultrasettantacinquenni.

 

Ulteriore rivalutazione per gli anni 2023 e 2024

Aumento a seicento euro”

com.310

Al fine di contrastare gli effetti ne­gativi delle tensioni inflazionistiche regi­strate e attese per gli anni 2022 e 2023, per le pensioni di importo pari o inferiore al trattamento minimo INPS, in via eccezionale con decorrenza 1° gennaio 2023, con riferi­mento al trattamento pensionistico lordo complessivo in pagamento per ciascuna delle mensilità da gennaio 2023 a dicembre 2024, ivi compresa la tredicesima mensilità spet­tante, è riconosciuto in via transitoria un in­cremento, limitatamente alle predette mensi­lità e rispetto al trattamento mensile deter­minato sulla base della normativa vigente prima della data di entrata in vigore della presente legge, di 1,5 punti percentuali per l’anno 2023, elevati a 6,4 punti percentuali per i soggetti di età pari o superiore a set­tantacinque anni, e di 2,7 punti percentuali per l’anno 2024.”

 

Oltre alla modifica del meccanismo automatico di rivalutazione delle pensioni il governo ha deciso di intervenire per aumentare il valore delle pensioni minime inferiori o pari al trattamento minimo (525,38) solo per gli anni 2023 e 2024, riconoscendo per il 2023 un ulteriore quota percentuale di rivalutazione pari a 1,5% elevati a 6,4% per i soggetti di età pari o superiore ai 75 anni e di 2,7 % per l’anno 2024, rispetto al valore del trattamento minimo in vigore prima dell’applicazione delle nuove disposizioni.

L’aumento del 6,4 delle pensioni minime valido solo per gli ultrasettantacinquenni e solo per l’anno 2023 porta il valore della pensione minima a 597,33 euro (le famose pensioni a seicento euro di cui hanno parlato alcune forze politiche della maggioranza).

Valori assolutamente inaccettabili, che si limitano a mantenere solo una parzialissima difesa del potere di acquisto, rispetto al reale costo della vita.

Rinunciando ad una vera rivalutazione che dovrebbe far parte di una più complessiva riforma del sistema pensionistico.

 

Di fronte a tali interventi trovano ancora più ragione e forza le nostre proposte di revisione dell’intero sistema pensionistico, decise con il congresso e definite nella piattaforma USB Pensionati.

 

USB Pensionati

 

 

 

 

 

 

 

Meccanismo di rivalutazione automatica delle pensioni

 

Primo scaglione fino a 4 volte il valore minimo a cui si applica il 100% della rivalutazione del 7,3%

 

Valore mensile pensione minima 525,38 (tutti gli importi si riferiscono al lordo)

525,38x4=2.101,52 (Tetto del primo scaglione entro il quale si applica la rivalutazione del 100%.)

 

Valore dell’inflazione determinata dal ministro del tesoro 7,3

Rivalutazione 525,38x7.3/100=38.35

Nuovo importo pensione minima rivalutata 563,73

 

Pensione di 1000 euro al mese in essere

Rivalutazione 1.000x7,3/100=73,00

Nuovo importo mensile pensione rivalutata 1.073,00

 

Pensione di 1.500 euro al mese in essere

Rivalutazione 1.500x7,3/100=109,5

Nuovo importo mensile pensione rivalutata 1.609,50

 

Pensione di 2.101,52 euro al mese in essere (tetto del primo scaglione)

Rivalutazione 2.101,52x7,3/100=153,41

Nuovo importo mensile pensione rivalutata 2.254,93

 

Questo importo vale come fascia di garanzia per le pensioni che, pur appartenendo allo scaglione superiore, risultassero inferiori a tale limite nei valori rivalutati secondo il coefficiente del proprio scaglione, che si applica sull’intero rateo.

In tal caso la pensione viene adeguata all’importo di garanzia

 

Es:

presi a riferimento il tetto di 4 volte il trattamento minimo pari a

2.101,52 e il valore massimo della sua rivalutazione pari a 2.254,93.

Una pensione di 2.110, 52, superiore di soli 9 centesimi rispetto al tetto, fa rientrare tale importo nella seconda fascia tra 4 e 5 volte il trattamento minimo, che vedrà riconosciuto solo l’85% del valore dell’inflazione, vedi sotto, per un aumento pari a 130,95 che porterebbe la pensione al valore finale di 2.241,47. Questo importo risulta inferiore rispetto al massimo della rivalutazione del primo scaglione e rientra quindi nella fascia di garanzia, ed il suo valore verrà adeguato al valore di garanzia pari a 2.254,93.

 

Questa modalità si ripete per tutte le differenze tra gli scaglioni successivi con l’individuazione delle varie fasce di garanzia.

 

Secondo scaglione tra 4 e 5 volte il trattamento minimo

525,38x5= 2.626,9 tetto massimo secondo scaglione.

per le pensioni ricomprese tra 2.101,52 e 2.626,9 si applica una rivalutazione dell’85% del valore dell’inflazione del 7,3 pari a (7,3x85/100=6,205%)

 

Pensione di 2.472 euro mensili in essere

Rivalutazione 2.472x6,205/100=153,38

Nuovo importo pensione 2.625,38

 

Pensione di 2.500 euro al mese in essere

Rivalutazione 2.500x6,205/100=155,125

Nuovo importo pensione 2.655,125

 

Pensione in essere pari al valore del tetto massimo 2.626,9

Rivalutazione 2.626,9x6,205/100=162,99

Nuovo importo pensione 2.789,98

 

Questo importo individua la fascia di garanzia, con il meccanismo descritto sopra.

 

Terzo scaglione tra 5 e 6 volte il trattamento minimo

525,38x6=3.152,28 tetto massimo terzo scaglione

Per le pensioni comprese tra 2.626,9 a 3.152,28 si applica una rivalutazione del 53% del valore dell’inflazione 7,3 pari a (7,3x53/100=3,869%)

 

Continuando nella progressione

Pensione di 3.000 euro al mese in essere

Rivalutazione 3.000x3,869/100=116,07

Nuovo importo pensione 3.116,07

 

Pensione in essere pari al tetto di 3.152,28

Rivalutazione 3.152,28x3,869/100=121,96

Nuovo importo pensione 3.274,24

 

Questo importo individua la fascia di garanzia.

 

Quarto scaglione tra 6 e 8 volte il trattamento minimo

525,38x8=4.203,04 tetto massimo del quarto scaglione

Per le pensioni comprese tra 3.152,28 a 4.203,04 si applica una rivalutazione del 47% del valore dell’inflazione 7,3 pari a (7,3x47/100=3,431%)

 

Continuando nella progressione

Pensione di 3.500 euro al mese in essere

Rivalutazione 3.500x3,431/100=120,085

Nuovo importo pensione 3.725,10

 

Pensione in essere di 4.203,04 pari al tetto dello scaglione

Rivalutazione 4.203,04x3,431/100=144,20

Nuovo importo pensione 4.347,24

 

Questo importo individua la fascia di garanzia

 

 

Quinto scaglione tra 8 e 10 volte il trattamento minimo

5.25,38x10=5.253,8 tetto massimo del quinto scaglione

Per le pensioni comprese tra 4.203,04 e 5.253,8 si applica una rivalutazione del 37% del valore dell’inflazione di 7,3 pari a (7,3X37/100=2,701%)

 

Continuando nella progressione

Pensione di 5.000 euro al mese in essere

5.000x2,701/100=135,05

Nuovo importo pensione 5.135,05

 

Pensione in essere di 5253,8 pari al tetto dello scaglione

5.253,8x2,701/100= 141,90

Nuovo importo pensione 5.395,70

Questo importo individua la fascia di garanzia

 

 

 

Sesto scaglione superiore a 10 volte il trattamento minimo

525,38x10=5.253,8 tetto dell’ultimo scaglione

Per le pensioni superiori a 5.253,8 si applica una rivalutazione del 32% del valore dell’inflazione di 7,3 pari a (7,3x32/100= 2,336%)

 

Continuando nella progressione

Pensione di 6.000 euro al mese in essere

6.000x2,336/100=140,16

Nuovo importo pensione 6.140,16

 

Pensione di 6.500 euro al mese in essere

6.500x2,336/100=151,84

Nuovo importo pensione 6.651,84