La doppia faccia di Unicoop Tirreno: da una parte immacolata e impeccabile nella sua immagine pubblica, dall'altra impietosa e arrogante nei rapporti con i sindacati ma soprattutto tentacolare nella gestione del potere economico e immobiliare. Un viaggio dentro il mondo Coop per scoprire se la sbandierata “distintività” esiste davvero o è solo uno spot fine a se stesso.
La vicenda dei lavoratori Coop licenziati a Livorno e provincia dopo un lunghissimo precariato, ci ha spinti ad approfondire la conoscenza di Unicoop Tirreno, l’azienda da 6mila dipendenti con sede a Riotorto (Piombino, provincia di Livorno) proprietaria dei negozi Coop presenti nelle regioni tirreniche. Grazie a notizie scovate in rete, testimonianze di chi fa sindacato in azienda, e anche rivelazioni scottanti di qualche ex dirigente, emerge un quadro che ci dice molto sul modello di egemonia rappresentato dal “brand” Coop e dai suoi legami con le varie sfaccettature del potere economico, finanziario e politico che governa i territori.
Precarietà strutturale
Partiamo proprio dagli ultimi fatti di Livorno. Dopo averli tenuti a lungo precari (diversi toccano gli 8-9 anni di contratti a termine a ripetizione), e aver firmato nel marzo 2012 un accordo con i sindacati che prevedeva la loro stabilizzazione, a dicembre Unicoop Tirreno comunica l’intenzione di non assumere 47 lavoratori dei negozi toscani. Nonostante l’accordo suddetto e soprattutto nonostante il fatto che queste persone avessero già ampiamente superato i termini per l’assunzione obbligatoria di legge (36 mesi). Quello della precarietà è un tasto dolente per Unicoop Tirreno, che da anni su questo punto si difende sostenendo che i propri concorrenti sul mercato della grande distribuzione fanno molto peggio (questo del “c’è chi fa di peggio” è un “mantra” caratteristico di Unicoop Tirreno, perno centrale della sua strategia comunicativa). Non la pensa così però chi fa sindacato in azienda, che ci dice: “Tenere dei dipendenti precari per 10 anni, facendoli arrivare anche a 60 mesi di lavoro quando il limite di legge è 36, è ingiusto prima ancora che illegale. Chiamare in causa le altre aziende è l’atteggiamento del ladro che per difendersi dice che c’è chi ruba di più. Ma sempre ladro è”. Tornando all’accordo disatteso suddetto, Unicoop Tirreno in un comunicato ufficiale adduce come motivazioni le “eccedenze” (ossia dipendenti che risultano in esubero per via di nuovi obiettivi di produttività). Curioso però che nello stesso comunicato del 20 dicembre 2012 Unicoop Tirreno si autodefinisca, probabilmente per tranquillizzare i propri soci, “un’impresa solida e ben capitalizzata” (quindi potenzialmente in grado di rispettare accordi già firmati e leggi). Questo “solida e ben capitalizzata” ci ha spinti a dare un’occhiata alla composizione del Gruppo Unicoop Tirreno.
L’impero
Unicoop Tirreno possiede (al 100%): Ipercoop Tirreno Spa (società che gestisce i negozi Coop e Ipercoop della Campania), Axis Srl (società immobiliare campana), Vignale Comunicazioni (società editrice di alcune riviste e che gestisce gli spazi espositivi nei centri commerciali), Sogefin Srl (gestisce partecipazioni in società del movimento cooperativo), Il Paduletto srl (società immobiliare toscana), Holmo del Tirreno Spa (società che gestisce la partecipazione in Finsoe, che a sua volta controlla il 50% di Unipol Gruppo Finanziario Spa). Al 50% invece detiene: Immobiliare Sviluppo per la Logistica Srl (società immobiliare proprietaria delle piattaforme logistiche), Immobiliare Sviluppo della Cooperazione Spa (joint venture immobiliare con la Cooperativa Lavoratori delle Costruzioni CLC di Livorno), Levante Srl (joint venture con Unicoop Firenze per la gestione dell’area del livornese del “Nuovo Centro” dove verrà costruito un centro commerciale con superstore). Oltre ad altre partecipazioni di minoranza come quella in Dico Spa (supermercati), di rilievo è il controllo che Unicoop Tirreno detiene (55% insieme a Coop Adriatica) di IGD (Immobiliare Grande Distribuzione), società quotata in Borsa che sviluppa e gestisce centri commerciali in Italia e Romania. In aggiunta a tutto questo, c’è ovviamente anche il prestito sociale (i soldi dei soci sui libretti Coop, che l’azienda/banca non tiene certo fermi lì a marcire), che ammonta a 1,3 miliardi di euro. Praticamente un impero, la cui mole indubbiamente stona parecchio con l’annunciata impossibilità di stabilizzare 47 lavoratori precari, soprattutto se a dar loro ragione ci sono leggi e accordi firmati.
Lazio e Campania
Detto del problema dei precari toscani, nelle altre regioni Unicoop Tirreno non se la passa meglio. Nel Lazio esiste da anni una spiccata conflittualità, che ha raggiunto una delle sue punte massime nello scorso autunno, quando una lettera di alcune lavoratrici a Luciana Littizzetto (la testimonial nazionale di Coop) ha scatenato un pandemonio mediatico arrivato negli studi di La7, dove durante la trasmissione “L’aria che tira” si sono scontrati il presidente di Unicoop Tirreno Marco Lami e il portavoce del sindacato Usb Francesco Iacovone. Le dipendenti nella lettera denunciavano le condizioni di lavoro in Coop, fatte di bassi salari, abuso selvaggio della forma contrattuale del part-time, clima pesante, e addirittura molestie sessuali contro le donne. Ancora peggiore la situazione in Campania, dove Unicoop Tirreno da anni sta mettendo in atto una vera e propria ritirata strategica tramite la vendita di negozi ad altri operatori che hanno causato chiusure definitive e licenziamenti (c’è anche una sentenza favorevole ai lavoratori che ad oggi Unicoop Tirreno non ha ancora rispettato). Ritirata strategica conseguente ad errori gestionali pazzeschi, che portarono Sergio Caserta, esponente di spicco della cooperazione in Campania, a definire lo sbarco di Unicoop Tirreno al sud come un intervento realizzato con mentalità “coloniale e padronale” e con evidenti obiettivi di mero profitto economico, senza consolidare una rete associativa locale come previsto dalla carta dei valori di Coop. Ma Caserta non è l’unico ex dirigente a scoperchiare il pentolone delle malefatte in salsa cooperativa. Famoso è il libro “La Coop non sei tu”, nel quale Mario Frau, ex super dirigente Coop “pentito”, individua quelli che chiama “i 5 pilastri” della facilità per Coop di occupare enormi spazi economici nel paese, e dove parla di “gerontocrazia” e “casta di intoccabili” a riguardo dei dirigenti della cooperazione.
Problemi sindacali e con la giustizia
Dicevamo della sentenza di reintegro dei lavoratori non ottemperata da Unicoop Tirreno in Campania. Purtroppo non è l’unico caso di difficoltà dell’azienda di Riotorto con i tribunali, visto che ha collezionato diverse condanne da parte di giudici del lavoro, tra cui alcune per condotta antisindacale. “Il problema – ci dice un delegato sindacale interno – non sono solo le condanne, ma il fatto che sembrano non imparare mai la lezione e che cadono nelle recidive. In occasione dello sciopero del 31 dicembre scorso si sono inventati l’istituto del lavoro comandato, una sostanziale precettazione che nel commercio non esiste.” Alla nostra domanda se l’azienda si rende conto della gravità della fattispecie della condotta antisindacale e della negazione del diritto di sciopero, lo stesso delegato ci risponde laconico: “Chi prende quelle decisioni non sa neanche di cosa si parla, gestiscono un’azienda da 6mila dipendenti ma non conoscono norme e leggi. La loro è l’arroganza ottusa di chi non sa ma finge di sapere”. Una delle condanne per condotta antisindacale che fece più clamore fu quella di Livorno nel 2008 (confermata in appello nel 2010). L’allora dirigente dell’ufficio per le relazioni sindacali fu in seguito rimosso, ma dopo non molto fu rimesso al suo posto e oggi è ancora lì. Chi nel frattempo l’aveva rimpiazzato, dopo la sua sostituzione è entrato a far parte del sindacato di base più conflittuale in azienda (Usb). Probabilmente ne aveva viste tante durante il suo mandato, ed è finito anch’egli nella schiera dei dirigenti pentiti.
Finanza e rapporti col potere
Il 29 dicembre 2012 è il Sole 24 Ore a pronunciarsi sulla situazione finanziaria dell’azienda con un articolo dal titolo “Quel triangolo di Unicoop Tirreno tra pegni e derivati”, in cui si parla di “circolo vizioso di Unicoop Tirreno (raccolgo prestiti, investo in titoli, chiedo la garanzia per avere più prestiti, metto a pegno i titoli comprati con i prestiti) che di fatto attua un’onerosa segregazione patrimoniale. L’impressione – continua l’articolo – è che nella Coop i criteri posti a presidio della dichiarata gestione oculata siano molto elastici e troppo permissivi”. Riprendendo pari pari il titolo di uno dei capitoli del già citato libro di Mario Frau, possiamo tranquillamente dire che “Le Coop sono diventate delle banche”. E come tutte le banche, utilizzano la loro forza anche nei confronti dei poteri che governano i territori. Ne è un esempio la famigerata vicenda livornese dell’acquisizione dei terreni del “Nuovo Centro” appartenenti a Fremura, che cedette l’area per 30 milioni a Coop nonostante Esselunga ne avesse offerti 40. Un mistero mai risolto, anche se va detto che la scorsa estate l’Antitrust ha dato ragione alla Coop perché “non ci sono sufficienti elementi per certificare l’abuso di posizione dominante”. E così a breve nascerà su quest’area un altro grande punto vendita Coop a Livorno, andando ad incrementare un regime di poca concorrenza che sta alla base fra le altre cose dei prezzi notevolmente più alti dei negozi Unicoop Tirreno rispetto a quelli di Unicoop Firenze (i livornesi conoscono ahiloro le differenze fra l’ipermercato di Porta a Terra e quello di Navacchio). E come non approfondire la conoscenza della già citata IGD (partecipata di Unicoop Tirreno)? IGD Spa a Livorno significa infatti Porta a Mare, visto che controlla, attraverso l’Immobiliare Larice Srl, il 60% di Porta Medicea Srl, la società che gestisce tutta l’operazione Porta a Mare per un valore calcolato di oltre 240 milioni di euro. Appare chiaro, quindi, come nel giro di 20 anni Unicoop Tirreno e il suo sistema di grande distribuzione alimentare e di operazioni immobiliari abbia conquistato i tre poli di espansione della città: Porta a Terra, Porta a Mare e Nuovo Centro. Anzi, guardando a questo impero monopolistico sia nella parte commerciale che immobiliare sorge il legittimo dubbio che le scellerate scelte urbanistiche nei 5 mandati che vanno da Lamberti a Cosimi siano state determinate dalle pressioni, le commistioni e gli interessi che il mondo cooperativo ha esercitato sul potere politico di questa città. Un fatto che dalle colonne del nostro giornale denunciamo da anni e di cui oggi iniziamo a vedere gli effetti con una progressiva desertificazione e svalutazione del centro cittadino (sia a livello commerciale che urbanistico) in favore dei grandi poli commerciali e immobiliari periferici, del tutto staccati dal tessuto sociale della città e che incarnano quello sviluppo ipertrofico e consumistico degno delle peggiori realtà anglosassoni. Ricordiamo inoltre che IGD ha avuto nel 2011 ricavi per 124,7 milioni di euro (+7,3%) oltre che una crescita generalizzata di tutti gli indicatori economici. Nell’estate del 2011, inoltre, Livorno è salita alle cronache nelle questioni riguardanti il caso Penati (braccio destro di Bersani e uomo PD in Lombardia), le aree Falk e le tangenti alle cooperative emiliane e al Pd. Uno degli attori principali indicati fra gli autori di questo intreccio è Giampaolo Salami che con la Phaedora srl aveva vinto nel 2009 il bando per la gestione della Fortezza Vecchia facendo sorgere polemiche in città (cfr. La Nazione del 9 maggio 2009). Phaedora srl era nell’orbita del consorzio modenese CCC coinvolto nelle indagini ed a cui faceva capo la cooperativa modenese C.M.B che detiene il 20% del progetto Porta a Mare. Per questo Livorno finì su molti quotidiani come una possibile riproposizione di quel “sistema Sesto” escogitato da Penati. Ma al di là dei risvolti penali, questo quadro generale può dare l’idea di come l’occupazione degli spazi sul territorio da parte del mondo coop non si fermino solo ai macrosettori della distribuzione e delle costruzioni.
Uno scambio sociale che non regge più
Che poi, e qui arriviamo in conclusione al punto che più ci interessa per la nostra città, non saremmo certo noi quelli che fanno la morale ad un’azienda che mette in piedi un regime monopolista su un territorio, se a fare da contraltare ci fosse una “restituzione” in termini di posti di lavoro stabili e full-time, nonché in termini di relazioni quantomeno rispettose con chi fa sindacato in azienda. In altre parole, passeremmo volentieri sopra ai prezzi alti dell’Ipercoop, se lo scambio fosse equo. Il problema è che sembra non essere più così. Il modello di sviluppo di Unicoop Tirreno pare ormai tarato sui nuovi standard del mercato del lavoro, come dimostra l’ipermercato di Porta a Terra, che si avvia a festeggiare il decennale annoverando al suo interno ancora una miriade di part-time che hanno uno stipendio misero in tasca ma dieci anni in più sulla schiena (e non è un caso infatti che l’iper sia saltato negli ultimi 5 anni agli onori delle cronache per una forte conflittualità sindacale). Se poi ci si aggiunge l’arroganza dei licenziamenti dei precari, degli accordi non rispettati, delle leggi violate, delle precettazioni sugli scioperi e delle condotte antisindacali, possiamo inserire Unicoop Tirreno sul banco degli imputati come azienda che drena il territorio facendo profitti ma in cambio non rende alcun valore aggiunto. Speriamo che la rotta venga invertita.
Redazione
Tratto da Senza Soste n.78 (gennaio-febbraio 2013)