(76/20) Da oltre due mesi l’INPS subisce attacchi politici e mediatici riguardo i tempi di erogazione delle prestazioni Covid decise dal Governo. Che qualcosa non abbia funzionato, almeno all’inizio, è fuori discussione. Tuttavia l’attività dell’Istituto non può essere giudicata solo per la disgraziata giornata del 1° aprile, quando il sito dell’INPS non ha retto all’impatto della concentrazione di domande di sussidio di 600 euro.
In questi due mesi sono stati erogati milioni di assegni di sostegno al reddito senza che si registrasse un rallentamento nella liquidazione delle altre prestazioni ordinarie. Le lavoratrici ed i lavoratori dell’Istituto, per il 96% in smart working domiciliare per contenere la diffusione del virus, hanno lavorato senza sosta ben oltre il normale orario di lavoro per assicurare la continuità amministrativa dell’Istituto. Quasi 28.000 dipendenti, collegati per lo più con apparecchi informatici personali, hanno affrontato diligentemente prevedibili difficoltà di collegamento, considerato che nessuno si sarebbe mai aspettato di gestire un numero di lavoratori così ampio in smart working. Il risultato è stato un aumento della produttività di oltre il 10%.
Cos’è che non ha funzionato, allora, visto che sull’INPS si è concentrato un fuoco di polemiche e di accuse per presunti, colpevoli ritardi, nell’erogazione delle prestazioni Covid? Nelle ultime settimane l’attenzione si è concentrata sulla cassa integrazione e si è imputata all’INPS la responsabilità di non aver pagato l’assegno a tanti lavoratori ancora in attesa. E’ montata una tale rabbia sociale da far temere per l’incolumità del personale dell’Istituto qualora si decidesse di riaprire gli sportelli fisici nelle sedi, un timore maggiore che per i pericoli di diffusione del Covid-19.
E’ mancata prima di tutto un’opportuna e puntuale comunicazione, a partire dagli inconvenienti del 1° aprile e, a seguire, su quanto è accaduto dopo. Chi tra i lavoratori autonomi non ha percepito i 600 euro di assegno è perché non ne aveva diritto oppure ha sbagliato la compilazione della domanda. Codici fiscali errati, iban bancari sbagliati, dati anagrafici incompleti, una miriade di errori che hanno complicato e rallentato l’attività istituzionale, con un aggravio di lavoro che si protrarrà nelle prossime settimane attraverso la lavorazione dei cosiddetti ricicli. Perché non si deve dire a chiare lettere che molti cittadini, così come consulenti e patronati, spesso commettono errori, per leggerezza o incompetenza, che si ripercuotono negativamente sull’attività istituzionale, aumentando per di più i carichi di lavoro?
Ci si lamenta perché i lavoratori non percepiscono l’assegno della cassa integrazione, ma si conosce a fondo l’iter che deve essere seguito per arrivare alla liquidazione della prestazione? Forse il legislatore non ce l’aveva ben presente quando ha deciso di utilizzare quello strumento come sostegno alle difficoltà determinate dall’emergenza sanitaria che è ben presto diventata anche emergenza economica. Fatto sta che la colpa dei ritardi sembra sia sempre e solo dell’INPS.
Invece ancora oggi diverse Regioni devono ancora trasmettere all’INPS un certo numero di decreti di autorizzazione della cassa integrazione. E questo è solo uno dei passaggi burocratici necessari prima di arrivare a liquidare l’assegno al lavoratore. E’ necessario che l’azienda presenti il mod. SR41 e molte imprese tardano a compilare il modulo perché aspettano di vericare se hanno l’opportunità d’impiegare il personale dichiarato in cassa integrazione, dal momento che la retribuzione e la cassa sono ovviamente incompatibili. Questo procura un danno al lavoratore, che aspetta di ricevere l’assegno e non sa che il ritardo è magari dovuto al suo datore di lavoro. L’INPS ha praticamente terminato la liquidazione di tutto quello che poteva essere liquidato, ma i lavoratori interessati alle misure varate dal Governo sono talmente tanti che quelli ancora in attesa di risposta rappresentano una pericolosa moltitudine.
E’ per questo che prima ancora di pensare a riaprire gli sportelli fisici nelle sedi occorre fornire corrette informazioni ai cittadini, promuovendo le forme alternative di front office, quali: telefono provinciale, contact center, servizi di app, utilizzo della posta elettronica, piattaforme per videoconferenze, ecc.. L’accordo siglato ieri a livello nazionale sulla gestione della cosiddetta “Fase 2” privilegia queste opportunità, che devono essere utilizzate al meglio evitando di esporre i lavoratori dell’INPS ad inutili pericoli. Tornerà il tempo della normalità e della ripresa di tutte le forme d’informazione e di contatto con i cittadini, oggi siamo ancora in emergenza sanitaria.
Roma, 4 giugno 2020