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legge delega revisione strumento militare

Riforma dello strumento militare: il Senato approva. Il testo passa ora alla Camera.

Roma,

Con 252 voti favorevoli e 12 contrari (gruppo dell'Idv), il Senato ha approvato, con modifiche, il ddl n.3271 recante "Delega al Governo per la revisione dello strumento militare nazionale".

Il testo passa ora all'esame della Camera dei Deputati.

Dopo i tagli della "spending review", ora è il turno dell'ennessimo provvedimento che ha come obiettivo la riduzione del numero dei militari a 150 mila (con un taglio di 33mila rispetto agli attuali 183 mila) e dei dipendenti civili della Difesa a 20 mila (al momento 30mila), mentre è stata stabilita in cinque anni la dismissione del 30% delle strutture militari: caserme, siti ed altro.

Di fatto, si produrrà l’effetto che le risorse ricavate con il taglio di una parte del personale andranno a coprire le maggiori spese previste per l'esercizio (formazione e manutenzione) e l’investimento (sistemi d'arma).

Il riequilibrio tra i costi del personale e le altre voci di spesa militare, comprese le missioni all’estero, non si configurerà come un dimagrimento dei fondi che lo Stato spende in questo comparto ma un vantaggio automatico e forte per l'industria a produzione militare e un assegno in bianco pronto ogni anno per pagare scelte di acquisizione di sistemi d'arma che, una volta fatte, vincoleranno il nostro Paese per decenni.  

Sul bilancio dello Stato, al momento, incombono ben 71 programmi di ammodernamento e riconfigurazione di sistemi d'arma che ipotecano la spesa bellica da qui al 2026.

Scontato quindi il voto sul provvedimento approvato dal Senato, condiviso in modo «forte e convinto» da tutto il Governo che a imposto ai senatori il suo diktat e quello dell’industria bellica nazionale.

Non sono mancati i colpi di scena con tanto d'intervento della divina provvidenza, che sappiamo non aver limiti e sicuramente molta influenza, da indurre il Senato a porre particolare attenzione a non urtare le sensibilità più altolocate con interpretazioni di comodo che hanno evitato il rischio di introdurre tagli e riduzione della spesa e portare nelle casse dello Stato oltre 4,5 miliardi di risparmi.

In particolare, ci sono volute le cervellotiche disquisizioni mentali degli esperti della presidenza del Senato per dichiarare l'inammissibilità di un emendamento poichè andava ad incidere sul Concordato tra lo Stato Italiano e il Vaticano, mettendo in discussione anche lo status giudiridico dei cappellani militari.

L’emendamento in questione era volto a porre il trattamento economico dei cappellani militari a carico della Chiesa e non del bilancio della Difesa.

 

L'ordinario militare ha le stellette e il salario di un generale di corpo d'armata, cioe' oltre 9 mila euro al mese lordi.

Gli altri 182 cappellani sono inquadrati coi diversi gradi della gerarchia militare:

  • il vicario generale è generale di brigata, 6 mila euro di stipendio;

  • l'ispettore, il vicario episcopale, il cancelliere e l'economo sono tenenti colonnello, tutti intorno ai 5 mila euro;

  • il primo cappellano capo è un maggiore che guadagna fra i 3 e i 4 mila euro;

  • il cappellano capo ha il rango di capitano, 3 mila euro;

  • il cappellano semplice ha il grado di tenente, 2 mila e 500).

La spesa totale annua per lo stato ammonta a oltre 10 milioni di euro, cifra che non comprende le pensioni pagate ai preti soldato (circa 160) per un importo medio annuo lordo di 43 mila euro ad assegno, quelle degli alti ufficiali (in tutto 16) che sono molto più elevate, tanto che l'ordinario militare percepisce circa 4mila euro netti al mese, per un'ulteriore spesa complessiva di quasi 7 milioni di euro.

Il complesso del provvedimento è solo una razionalizzazione che pesa sulle spalle di tutto il personale, sia civile che militare, per difendere i privilegi e gli affari di politici, generali e industrie belliche.

Ribadiamo la nostra ''totale contrarietà'' nei confronti del disegno di legge che non sembra configurare alcun risparmio effettivo, limitandosi a spostare risorse da un capitolo di spesa all'altro e dal personale agli investimenti.