I nodi vengono sempre al pettine e le contraddizioni prima o poi esplodono.
Andiamo con ordine...
Il 7 giugno presso gli uffici centrali tutte le sigle sindacali, tranne USB, firmarono un accordo locale per l'adeguamento delle misure di sicurezza che, tra le altre cose, prevedeva l'abbassamento della distanza interpersonale dai 2 mt previsti dall'accordo nazionale a 1,5 metri. In quella sede ci battemmo affinchè fosse mantenuta la distanza dei 2 mt ed introdotte altre misure necessarie a decongestionare e scaglionare la presenza (prestazione mista, ripristino profili orari, introduzione di una clausola che fissasse al 50% la capienza massima nelle stanze nell'ipotesi di contagio ecc, ecc.): il nostro ragionamento era semplice e partiva dal fatto che troppe volte, ormai dal 2019, ad ogni abbassamento della guardia ha fatto seguito il prepotente riaffacciarsi del virus nelle sue diversificate forme. Insomma un film già visto...
Ma l' amministrazione e le altre sigle proseguirono per la loro strada sottoscrivendo un accordo chiaramente inadeguato a garantire i giusti standard di sicurezza nel luogo di lavoro.
Ma soprattutto in quella sede ci fu riferito che lo smart working, strumento atto a decongestionare la presenza in ufficio e quindi a ridurre le possibilità di contagio, andava tenuto distinto dal discorso sulla la sicurezza.
Poi accade l'imponderabile (in realtà mica tanto..) e negli uffici centrali, cuore e fiore all'occhiello dell'Agenzia delle entrate, si verifica nello stabile di via Giorgione 106 un persistente e tutt'ora in corso malfunzionamento dell'impianto di raffreddamento, per cui il personale si trova costretto a lavorare con temperature tropicali, in stanze affollate dall'abbassamento della distanza interpersonale, con la mascherina FFP2 e in piena diffusione del Covid. Praticamente una tortura...
Tralasciando l'incuria che ha caratterizzato questi anni (ma le verifiche sull'impianto non potevano esser fatte a tempo debito?) e la gestione diciamo casareccia della vicenda con mail che un giorno annunciano la ripresa del funzionamento dell'impianto e il giorno dopo la smentiscono con i lavoratori in spasmodica attesa dell'ultima mail utile a capire il da farsi, cosa fa l'amministrazione? Riscopre lo smart working come strumento per garantire la continuità del servizio ed aggirare quegli obblighi a tutela della sicurezza e della salute del personale che sono in capo al datore di lavoro
Bene verrebbe da dire..Non funziona l'impianto di raffreddamento ed allora è giusto restare a lavorare a casa.
In linea generale si, ma qui casca l'asino ed esplodono tutte le contraddizioni e i doppi standard sistematicamente utilizzati dall'Agenzia. Ed è esattamente quello che ci preme sottolineare per stimolare un ragionamento più complessivo.
Come è possibile, infatti, che dopo averci fatto tribolare per sottoscrivere accordi individuali penando per strappare i giorni di sw come fosse una gentile concessione, ora invece si riscopre il valore del lavoro da remoto?
E come è possibile che quella “prestazione mista” (una parte di lavoro in ufficio ed una parte da remoto) che USB aveva richiesto subito come elemento di conciliazione tempi di vita tempi di lavoro da espressione impronunciabile ora viene ripescata dall'amministrazione qualora il malfunzionamento degli impianti si dovesse verificare nel corso della giornata?
E cosa accade per quei lavoratori che hanno rinunciato allo smart working optando per lo svolgimento della prestazione in presenza e che quindi non hanno sottoscritto gli accordi individuali?
E ancora, se gli accordi individuali sottoscritti possono essere modificati unilateralmente, a piacimento e convenienza da una parte contrattuale (l`Agenzia in questo caso per ovviare al mancato rispetto degli obblighi in materia di sicurezza), nulla dovrebbe impedire in futuro di riconoscere al lavoratore per proprie esigenze, per esempio, lo svolgimento dello sw per due settimane consecutive senza intestardirsi sul calcolo della prevalenza su base settimanale?
E i buoni pasto e le fasce di contattabilità previste per lo sw possono considerarsi applicabili anche nelle giornate in cui, causa malfunzionamento dell'impianto, il personale è obbligato a svolgere attività da remoto?
E infine qualora non ci fosse stato lo smart working come l'amministrazione avrebbe gestito questa emergenza?
Sono tutte domande retoriche alle quali è facile dare una risposta: per l' amministrazione lo sw è da demonizzare se deve essere realmente uno strumento di conciliazione tempi di vita e di lavoro, mentre è da rilanciare se serve a coprire quelle inefficienze organizzative che ricadono direttamente sulla parte datoriale.
Comodo così vero?
Ps: L'USB si è subito mossa per garantire la tutela della sicurezza del personale ed ha chiesto in apposite note che cessi questo stillicidio giornaliero e si chiarisca una volta per tutte l'entità del danno, garantendo lo smart working non giorno per giorno ma per tutta la durata del malfunzionamento dell'impianto. Lo abbiamo fatto perchè la sicurezza e la tutela della salute del personale è per noi da sempre una priorità. Ma questo non deve mai esimerci da un ragionamento più generale sui comportamenti dell'Agenzia. Ci tornerà utile per il futuro ...
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