È vero che di questi tempi un paio di migliaia di euro che arrivano tutti in una volta fanno tirare più di un sospiro di sollievo a tante famiglie di lavoratori pubblici.
Occorre, però, raccontare cosa c’è di reale dietro i trionfalistici comunicati, e tabelle allegate con gli incrementi stipendiali e arretrati, che i sindacati firmatari hanno diffuso dopo la firma dell’accordo dell’11 novembre sul trattamento economico del personale del comparto Istruzione e Ricerca.
Stiamo parlando del triennio 2019-2021 e qui i numeri parlano da soli: questi sono soldi che dovevano essere nostri anni fa e non certo spacciati per un generoso regalo “anticipato”.
Un perfetto ossimoro tra incrementi anticipati e calcoli degli arretrati al 31.12.2022.
L’incremento medio lordo mensile per 13 mensilità per tutto il comparto è pari a 98 euro, l'aumento netto sarà invece di circa 50 euro medi mensili, mediamente del 3,78% considerando che l’indennità di vacanza contrattuale è già percepita in busta paga e l’elemento perequativo, corrisposto ai dipendenti universitari fino alla categoria D2, è riassorbita nei nuovi emolumenti.
La realtà è che l'aumento è quasi un terzo dell'inflazione ufficiale stimata al 12,8% con indice IPCA su base annua (da + 9,4 solo nel mese di ottobre, dati ISTAT) e risulta ridicolo in un contesto come quello attuale a cui si aggiunge l'ammanco di circa 2.000/3.000 euro per ogni dipendente, del periodo 2009-2022, che ha compresso i salari dei dipendenti universitari, una delle categorie statali meno pagate in Europa.
E allora, al di là della narrazione trionfalistica del Ministro e dei comunicati pomposi e soddisfatti di sindacati che rappresentano una funzione sociale che oramai non hanno più, come è possibile spacciare questa miseria come “INCREMENTO” contrattuale?
Come USB abbiamo chiesto con la piattaforma dei 5 punti per i dipendenti pubblici, in occasione del No Carovita Day dello scorso 26 ottobre, che i contratti venissero rinnovati subito per tutto il Pubblico Impiego e che si tenesse conto dell'inflazione reale (che si attesta al momento intorno al 30%) e non basandosi sull'indice ufficiale dell'inflazione (IPCA), che non include il rincaro energetico.
Alla fine, la crisi derivante dall'economia di guerra la fanno pagare a noi.
Per questo e tanti altri motivi, il 2 dicembre sarà SCIOPERO GENERALE.
Il 3 dicembre MANIFESTAZIONE NAZIONALE a ROMA del sindacalismo di base, per gridare insieme
“GIU' LE ARMI, SU I SALARI!”
USB PI Università