Sappiamo ormai quanto il modello di sviluppo fondato sullo sfruttamento capitalistico dell’uomo e della natura sia insostenibile come la rivoluzione cubana ha da sempre dimostrato. Stiamo vivendo una crisi di civilizzazione, segnata dalla crescita delle diseguaglianze e dalla mancanza di prospettive per gran parte dell’umanità, una situazione aggravata in modo drammatico dalla guerra della NATO in Ucraina contro la Russia e il pluripolarismo, mentre vediamo crollare il modello finora vincente di un mondo unipolare, davanti alla prospettiva di un multicentrico più che multilaterale, che Cuba e il Venezuela rivoluzionari promuovono e costruiscono e che può realizzarsi, e nei fatti compie passi avanti in Asia e America Latina, attraverso i BRICS, e in tutta la Tricontal pensata e fatta storia da Che Guevara. Per questo negli ideali della rottura antimperialista, si potrebbero riconoscere tutti i subalterni, gli ultimi e gli sfruttati; i Sud del mondo che non vanno intesi come un’etichetta geografica, ma un termine con cui si indicano gramscianamente tutti i popoli subalterni.
L’analisi si svilupperà nei diversi articoli seguendo sempre la linea tracciata dalla visione della reale vigenza dei percorsi teorici e di realizzazione pratica attraverso il metodo del materialismo storico e nella e per la egemonia culturale dei subalterni, come prospettiva internazionalista e attraverso l’interpretazione multicentrica, e in particolare nella declinazione gramsciana. Molto importante sarebbe giungere a una ridefinizione e riqualificazione nella pratica dei movimenti sindacali e politici dei termini teorici e attuativi della filosofia della prassi e la individuazione con le potenzialità di azione delle nuove soggettualità degli operai, dei contadini, degli impiegati, dei commercianti, dei piccoli imprenditori e quindi dei nuovi soggetti del lavoro e del lavoro negato, del non lavoro, con l’idea del governo politico ed economico in una nuova prospettiva di potenziale realizzazione di modelli di transizione post-capitalista.
Oggi, in questa fase di crisi sistemica economica aggravata dalla crisi sociale della pandemia, e della guerra, il respiro di chi vuole una diversa umanità deve essere più ampio. Dobbiamo ricominciare a ragionare sulle fasi storiche della politica di trasformazione, sui cicli rivoluzionari come ha fatto Cuba modificando spesso i suoi modi di vivere la pianificazione e la transizione socialista. Bisogna mettere in relazione la strategia del cambiamento con dei passaggi tattici. Il senso della rivoluzione, della spiritualità, amor con amor si paga, per il fare politica rivoluzionaria, della capacità di fare cultura di classe, dell’agire quotidiano in senso rivoluzionario che si legge in Martí, Gramsci e Fidel che è punto di riferimento per un attuale studio e pratica del cambiamento”.
Si va così sottolineando la dimensione rivoluzionaria di classe nella possibilità delle attuali transizioni come asse portante in cui si sviluppano temi della teoria e della prassi post- imperialiste e in queste di quelle più specificatamente orientate alla pianificazione socialista. Ma anche nei paesi capitalisti si sviluppa conflitto, si veda in Italia come sindacati di classe come USB o organizzazioni politiche come la Rete dei Comunisti e centri culturali militanti raggiungono, per esempio, la trattazione critica e dell‘oggi della validità nel materialismo storico e dialettico nell’attualità della questione di classe , e, in particolare, l’alleanza tra contadini e operai , e la sua composizione e prospettiva politico -sociale nella fase attuale del passaggio dalla globalizzazione neoliberista alla competizione e ai conflitti intercapitalistici.
Nel libro si è cercato di indicare chiaramente una delle basi teoriche più profonde del pensiero antimperialista e delle prospettive socialiste. Un riferimento che riesce ad andare oltre la particolarità e la contingenza per affermarsi come fondamento di tutte le rivoluzioni antimperialiste che hanno la capacità e la forza di proporre il salvataggio della cultura, inserendola, come ci ha insegnato Mariátegui, in un progetto di integrazione internazionale che è alla base della transizione rivoluzionaria.
Discorrere e realizzare processi di transizione al socialismo e pianificazione vuol dire ovviamente ragionare in termini internazionalisti. Va per questo valorizzato il ruolo delle alleanze internazionali come strumento di rilancio di una lotta su scala globale, che può ampliarsi in maniera diversificata a partire dagli importanti processi di cambiamento nei vari paesi dell’ALBA con la grande tenuta della organizzazione di classe e politica anche in Italia, per la cultura dell’oggi della rivoluzione.
Nelle lungimiranti riflessioni gramsciane, ritroviamo tratti di estrema attualità nella tendenza attuale che è stata definita “mezzogiornificazione” di una vasta area mediterranea, quella dei PIGS fondamentalmente, attraverso il processo di integrazione economica e monetaria europea della “Fortezza Europa”. Questo status di blocco indotto, perpetrato attraverso l’ordoliberismo, che impregna i Trattati fondamentali della UE, alimenta un sistema di dominazione neocoloniale tra Paesi del Centro-Nord Europa e area mediterranea. Una realtà che collega il Vecchio Continente a dinamiche tanto attuali quanto risalenti, con le specificità proprie del contesto europeo (ad es. compressione strutturale della sovranità degli Stati, squilibri commerciali, deflazione salariale). In questa prospettiva, a partire dalle teorizzazioni sviluppate nel libro, nel solco di un nuovo meridionalismo su basi marxiste, si pone centralmente la questione di un delinking, di un semi-distacco che riguardi anche l’Europa, superando ogni premessa eurocentrica e le tradizionali categorie storiche, politiche, economiche, culturali imposte dall’egemonia neoliberista e del postmodernismo, attraverso la costruzione di un’ALBA euro-afro-mediterranea.
Questa via pone centralmente il tema dell’alternativa di sistema, dell’emancipazione e della ricomposizione del lavoro salariato, tanto operaio, quanto contadino (nel solco della lezione gramsciana e dell’implementazione teorica latino americana), a partire dal riferimento concreto all’esperienze di semi-distacco operate nel mondo, alla relazione rinnovata tra costruzione e democraticizzazione dello Stato e processi di autorganizzazione sociale, con una ricca produzione a riguardo proveniente dall’America Latina e da processi reali come l’ALBA, quale atto concreto di semi-distacco in essere.
Oggi diversi tra i Paesi ex coloniali animano la prospettiva del multicentrismo e, alcuni fra questi, perseguono anche quella della transizione economico-sociale. Il contributo teorico e di riflessione proveniente dalla Cina popolare e dall’Asia coniuga un’ originale prospettiva di universalizzazione non euro-atlantica dei rapporti internazionali, sul rapporto Stato-mercato e ruolo strategico della soggettività per la transizione. La teorizzazione gramsciana sulla Questione meridionale, il portato della tradizione del terzomondismo e di Bandung e dei processi in atto di delinking innervano oggi la riflessione critica sul prodotto ultimato delle contraddizioni della UE.
La rottura dell’Europolo si presenta, essenzialmente, come sganciamento da un sistema di dominazione, per i popoli europei come primo terreno fondamentale di emancipazione, in senso generale, in sintonia con un vasto fronte di popoli e Paesi, alternativo alla mondializzazione. Su questa realtà concreta poggia la prospettiva dell’unità del Sud, ad iniziare da quello europeo, per un’ALBA euro-afro-mediterranea che, oltre a fermare il suo processo di “mezzogiornificazione” del Sud Europa, si proponga di archiviare la polarizzazione mondiale, in primo luogo, per l’affermazione di un contesto mondiale multicentrico.
Un’alternativa che parte dal Sud globale. È questo il filo conduttore del libro che propone indagando sulle vicende storica di semi-distacco, di deoccidentalizzazione e decolonizzazione in risposta alla mondializzazione capitalista e imperialista, caratterizzata da un rapporto di dominanza tra blocchi egemoni e blocchi egemonizzati. A ben vedere, sono percorsi storici attraversati copiosamente da una teorizzazione risalente, come quella Questione meridionale gramsciana come problema della caratterizzazione del Mezzogiorno inteso come disgregazione sociale, del blocco dello sviluppo come processo indotto e del confinamento ai margini della storia delle masse popolari.
Nella cornice del divenire storico dei sud neo-colonizzati e dei subalterni oggi nel mondo, si attualizza una metodologia e linea di ricerca dei de-linking (come già negli studi di Samir Amin, Hosea Jaffe ed altri), con una visione di critica della politica economica e sociologica orientata a interpretare le realtà dei movimenti e delle culture nella prospettiva antimperialista. È così che tutto si ricollega alle dinamiche nelle contraddizioni capitale-ambiente e capitale-lavoro, e nella relazione Sud e subalterni con la questione delle nuove caratteristiche del mondo del lavoro, nella costruzione dell’unità dei soggetti subalterni, nelle possibili transizioni post-capitaliste. Si tratta di riproporre gramscianamente ipotesi di egemonia culturale come moderna alleanza delle soggettività sociali (operai, contadini, impiegati, lavoratori della conoscenza, commercianti e piccoli imprenditori) nella prospettiva dell’egemonia per un governo di democrazia di base popolare.
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