Chi realizza un documentario è un film maker o un giornalista? Un fotografo che espone i propri scatti di guerra a una mostra, è un artista o un fotoreporter? Chi pubblica contenuti informativi on line e nei social network per generare traffico verso un sito internet o un social media, è un content provider o un web marketer?
Un tempo a Hollywood si diceva: se dovete mandare un messaggio, non fate un film, ma andate all’ufficio postale. Oggi i messaggi corrono on line proprio attraverso gli audiovisivi. Il 93 per cento degli utenti web guarda contenuti video almeno una volta al mese (fonte: GlobalWebIndex). E sempre più le immagini sono destinate a dominare e condizionare l’offerta informativa e di intrattenimento dei social media, e quindi anche il mercato pubblicitario. Su questo versante è Instagram a fare la parte del leone. Tanto che è difficile dare una definizione corretta e univoca di ciò che è informazione, e ciò che è comunicazione.
Perfino l’info-tainment di certi talk show televisivi è stato sdoganato nelle aule di tribunale, rispetto ai rigorosi confini giornalistici di un tempo. E la crescente digitalizzazione delle tradizionali testate giornalistiche che spalmano la propria offerta su piattaforme e con strumenti diversi dalla semplice carta stampata, mutuando spesso linguaggi e consuetudini storicamente appannaggio di altri mass media, ha innescato una rivoluzione senza precedenti, a volte scelta, altre volte imposta, altre ancora subita.
Se la giurisprudenza ha circostanziato in modo abbastanza preciso il ruolo degli operatori della comunicazione, non altrettanto si può dire della loro rappresentanza sindacale nelle aziende editoriali ovvero, come sempre più spesso avviene, fuori dalle stesse aziende, vista la diffusa precarizzazione della categoria.
Chi in questo settore non può o non vuole riconoscere che un’epoca è finita (probabilmente per sempre), rischia di finire inghiottito dalla storia. Se questo mondo è cambiato, prima o poi dovremmo attrezzarci sindacalmente per rispondere adeguatamente. Così come vanno rivisti gli strumenti di confronto e di lotta in difesa della democrazia e del diritto dei cittadini di farsi un’opinione critica della società e del paese in cui vivono. O lo facciamo da protagonisti a livello sindacale puntando anche al tavolo delle trattative – e USB mass media non si tira indietro – oppure rischiamo di subire (da perdenti) questa rivoluzione copernicana. Tu da che parte vuoi stare?