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- Trasp. pub. locale

Il bus cadente delle periferie

Roma,

6 giugno 2007 - Il Manifesto Tre casi di esternalizzazione nel trasporto pubblico locale: costi maggiori, servizi peggiori, sicurezza a rischio. E i lavoratori voltano le spalle al sindacato di Tommaso De Berlanga

Roma - La vicinanza con i centri del potere rende più facilmente identificabili una serie di «soluzioni strategiche» che altrove faticano ad imporsi. Prendiamo perciò ad esempio la Tevere Tpl, una «società consortile a responsabilità limitata» che pian piano ha assunto un ruolo centrale nel trasporto pubblico romano, fino a rappresentarne il 20%. Curiosa anche la parabola, che va da una partenza trionfale - 1999, vigilia del «giubileo», con la gestione delle linee speciali «J» - alla tristanzuola decadenza sulle linee periferiche trasferitegli dal Comune di Roma a sollievo del bilancio Atac. Allora era una Ati (associazione temporanea di imprese) che comprendeva anche la Sita, l'Arpa abruzzese, l'Apm perugina e la Transdev francese. Nel 2001 si aggiudica una settantina di tratte urbane dell'estrema periferia, mentre se ne vanno francesi e umbri. Nel 2005, poco prima del bando di gara per la nuova assegnazione - di cui si sa che sarà rivolto a «società di capitali» - l'Ati si scioglie e magicamente ricompare come Tevere Tpl. Tra i maggiorenti c'è Marcello Panettoni, presidente dell'Asstra (associazione delle imprese del settore) e i presidenti delle società di trasporto preesistenti (Co.Tri, Sita, Cialone Tour, ecc). La direzione generale viene data a Marco Cialone.

Società affidataria è l'Atac - presieduta da Fulvio Vento (una vita nel Pci sparita dal curriculum on line) - su decisione del Comune. Gli autobus sono di proprietà del Comune, ovvero dell'Atac, così come i dipendenti; la manutenzione dovrebbe essere a carico della Tevere, che però la limita a molto meno dell'essenziale. La ragione ufficiale sono i costi: il Comune di Roma paga per il servizio 2,36 euro a km, ogni autobus consuma quasi un litro di gasolio a km; con l'euro restante si deve fare tutto (paghe, manutenzione, pulizie, guadagno d'impresa). Così le vetture viaggiano sporche, perdono olio per strada, ammortizzatori a terra, ecc.

Nel 2006 le cose cominciano a complicarsi. I lavoratori, infatti, trovano qualcosa da ridire e si organizzano. Visti i quadri dirigenti delle aziende di trasporto locale, a Roma come altrove, si affidano a qualche sindacato di base. Nel caso della Tevere, alla Cub. Viene presentata una piattaforma rivendicativa, la società tace, partono gli scioperi. Ben sei in meno di un anno (dal 27 settembre al 4 maggio scorso). Nessuno di questi viene segnalato dall'azienda agli utenti, nessuna convocazione viene attivata per risolvere la vertenza. Si punta a prendere i lavoratori «per stanchezza». Stupisce soprattutto il silenzio degli assessorati interessati, nonostante le proteste che arrivano anche dai cittadini... periferici. Al centro di Roma i turisti non si accorgono di nulla o quasi; nei quartieri popolari si (ri)scopre invece l'impossibilità di «evadere» e raggiungere i posti di lavoro o il centro. Senza neppure sapere perché.

Questo andazzo si interrompe solo pochi giorni fa, quando la «sinistra radicale» capitolina decide di raccogliere le istanze di lavoratori e utenti e investirne la giunta. Complice anche un «audit» straordinario svolto dall'Atac a gennaio sull'operato della società. Le accuse alla Tevere sono circostanziate: carenza di manutenzione ordinaria, personale inquadrato con contratti anomali rispetto a quanto previsto dal capitolato di affidamento, posti guida non conformi, ecc. Cialone si difende accusando «le buche» nelle strade di periferia e gli zingari («venti zingari su una vettura danno la sensazione che la vettura non è pulita»). E' lo stesso Cialone che a ottobre aveva vietato l'ingresso nei depositi della Tevere ad alcuni membri della commissione lavoro del Comune.

Al momento: si sta preparando un altro sciopero, la sinistra chiede la rescissione del contratto per inadempienza, Fulvio Vento «esclude per il momento la rescissione del contratto», pur essendo ancora in attesa di un nuovo «audit» per verificare se qualcosa è cambiato da gennaio. E non lo è.