Con un colpo di mano, il ministro Giorgetti introduce nuove misure che vanno a colpire il diritto alla pensione, inasprendo i requisiti per l’uscita dal lavoro. Da un lato vengono ridotti gli effetti per coloro che hanno riscattato la laurea: mentre il costo del riscatto rimane invariato, si riduce il beneficio e solo la metà degli anni di laurea verrà conteggiata ai fini dell’anzianità contributiva. Dall’altro si allargano i tempi, la cosiddetta finestra, per ricevere l’assegno pensionistico e dagli attuali 3 mesi progressivamente si arriverà a sei per chi va in pensione anticipata. In sostanza, si allungano i tempi per andare in pensione, con l’obiettivo di intervenire sui conti pubblici e garantire al governo risorse in più da dedicare al riarmo.
Ciliegina sulla torta, dal prossimo luglio i neoassunti del settore privato saranno iscritti automaticamente alla previdenza complementare, con la possibilità di rinunciarvi comunicandolo entro sessanta giorni. Il che è l’ennesimo tentativo di sostenere i fondi pensione e la finanziarizzazione di risorse che appartengono ai lavoratori.
Intanto le pensioni minime rimangono inalterate (le rivalutazioni sono insignificanti) e quasi 5 milioni di pensionati percepiscono assegni sotto i mille euro. Né è previsto alcun intervento che serva ad affrontare la condizione di chi ha cominciato a lavorare dopo il 1995, risucchiato nel sistema contributivo e destinato, soprattutto se ha vissuto lunghi periodi di lavoro precario, ad una vecchiaia di povertà.
Del resto, in un paese dove i salari sono bassi, come potrebbero essere alte le pensioni?
La questione delle pensioni sta diventando una vera e propria emergenza nazionale. Con una sanità sempre più privatizzata e pensioni da fame, l’area della povertà è destinata ad aumentare irrimediabilmente.
Per invertire la tendenza dovremo cominciare ad utilizzare la pratica del “blocchiamo tutto” alle grandi emergenze sociali.