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Editoriale

Mes, a volte ritornano...

Nazionale,

Il tema della riforma del trattato del Mes, che aveva animato il dibattito politico nei mesi immediatamente precedenti la pandemia e che era stato congelato a seguito dell'esplosione della stessa, torna ad essere di attualità.

Mentre sono palpabili le tensioni all'interno della maggioranza sull'utilizzo del Mes per la sanità e su possibili rimescolamenti della compagine governativa, il ministro Gualtieri, avendo ottenuto il via libera anche da parte del Movimento 5 stelle, ha dato l’assenso al progetto di riforma del c.d. fondo salva Stati durante la riunione dell’Ecofin. La riforma del Mes, dunque, inizierà l’iter di ratifica in vista della firma definitiva prevista per il 27 gennaio.

Nei mesi precedenti abbiamo dettagliatamente evidenziato il vero disegno politico che sottende il progetto di riforma del Mes definendolo, non a caso, un fondo che ammazza i paesi del Sud Europa e, al contempo, salva le banche tedesche.

Giusto per rinfrescare la memoria: quali sono le principali direttrici lungo le quali si muove la riforma del trattato del Mes?

Senza addentrarci troppo in tecnicismi, diciamo subito che tale progetto riproduce in pieno quella contrapposizione di interessi, oltre che di struttura economica, che caratterizza il progetto europeista sin dalla sua nascita e del quale abbiamo avuto chiara dimostrazione in occasione del negoziato che ha condotto all'intesa sul Recovery fund.

Di qui la previsione, contenuta nel “nuovo” Mes, di un meccanismo che seleziona accuratamente i paesi a cui corrispondere il prestito. Una linea di credito precauzionale per i paesi “affidabili” in quanto in linea con i vincoli previsti dai trattati europei (di fatto Germania e Olanda) che, quindi, otterrebbero agevolmente e praticamente senza condizionalità la linea di credito magari per giungere in soccorso alle loro banche attraverso le risorse versate al fondo dai singoli Stati; diversamente, una linea di credito rafforzata per quei paesi (in primis quelli del Sud Europa) che, non avendo i fondamentali economici in linea con gli assurdi vincoli europei, dovrebbero, per accedere agli aiuti, preventivamente subire una ristrutturazione del debito resa più agevole e praticabile dall'introduzione delle cosiddette Cac (Clausole di Azione Collettiva) single-limb.

Di cosa si tratta in sostanza? Oggi per cambiare le condizioni contrattuali in modo che la ristrutturazione del debito comprenda tutti i titoli occorrono maggioranze qualificate in una pluralità di assemblee dei creditori, per cui potrebbero formarsi minoranze di blocco che ne impediscano l'entrata in vigore. Con l'introduzione delle Cac single-limb viene superato il quorum richiesto per ogni singolo titolo, semplificando con un’assemblea unica la procedura di contrattazione finalizzata alla ristrutturazione del debito e coinvolgendo nel processo tutti i possessori di titoli pubblici italiani.

Naturalmente dopo la ristrutturazione del debito il calvario proseguirebbe con la sottoscrizione di un Memorandum, ovvero un piano di riforme sotto la stretta osservanza delle istituzioni europee. Ma non finisce qui.

La riforma del MES contempla l'allargamento della sua mission attraverso la previsione di un dispositivo di sostegno diretto alle banche, detto back stop, che dovrebbe essere anticipato al 2021-2022.

In sostanza, qualora terminassero i soldi del Fondo di risoluzione delle crisi bancarie, entrerebbe in campo il MES (con un prestito paracadute di circa 70 miliardi) nella qualità di prestatore di ultima istanza nei confronti delle banche. E le banche tedesche non costituiscono certo il fiore all'occhiello della finanza Ue, con la Deutsche Bank ritenuta da più parti il maggior fattore di instabilità sistemica, avendo in pancia titoli illiquidi ovvero prodotti finanziari derivati.

Insomma, i paesi del blocco tedesco si apprestano a portare a casa una riforma del MES che consentirà di gestire le critiche condizioni in cui versano le proprie banche e sul quale potranno esercitare un controllo diretto (non a caso alla guida del Fondo salva Stati è collocato il tedesco Klaus Regling) sfruttando regole costruite a misura.

Non desta particolare meraviglia che il perfezionamento di un meccanismo che, da un lato irrigidisce la sorveglianza economica nei confronti dei paesi del Sud Europa e, dall'altro, punti a condividere le perdite delle banche (quelle tedesche), avvenga nel bel mezzo di una tempesta sanitaria economica e sociale senza precedenti e della quale non si intravede la fine.

Chi, nonostante l'evidenza dei fatti, ha voluto scorgere nel Recovery fund (se mai vedrà la luce) l'avvio di “un nuovo corso europeo” dovrà tornare sulla terra.

Un progetto politico che sin dalla sua nascita ha fatto della diseguaglianza e della asimmetria il suo tratto distintivo, non può cambiare direzione. Pena il suo disfacimento.