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Rete Legali USB – CEING: quando sei un lavoratore migrante “clandestino”, devi aspettare di morire per avere un nome

Roma,

SATMAN SINGH, così si chiamava il bracciante abbandonato in strada con un arto amputato da una macchina per tagliare il fieno e varie fratture. Lavorava in nero Satman, insieme alla moglie nella campagna dell’Agro Pontino. Satman, 31 anni, senza nessuna tutela, veniva portato nei campi ogni mattina ma tre giorni fa ha perso la vita. Satman è stato abbandonato per strada con l’arto amputato. Caricato sul camion e abbandonato. Morto dopo neanche 48 ore in ospedale. 

Questa la barbarie dello sfruttamento e del caporalato. Questa la barbarie che continua ogni giorno dei morti sul lavoro. Questa la barbarie della nuova forma di schiavitù che è necessario combattere come è necessario combattere lo sfruttamento del lavoro dei migranti.

È inaccettabile che un “clandestino” debba rimanere senza tutele, e che la morte sia in larga misura un “evento” da mettere in conto per poter lavorare.  Vivere per lavorare e morire di lavoro sono i segni evidenti dell’inciviltà: non si può morire di lavoro!

Gli avvocati e i giuristi di USB e il Centro Iniziativa Giuridica Abd-El-Salam ancora una volta ribadiscono la necessità di inserire la previsione normativa dell’omicidio sul lavoro e di potenziare gli organismi ispettivi per renderne effettivi i controlli, tema su cui l’attuale governo mantiene un silenzio assordante.

Basta con la schiavitù, basta morti sul lavoro

 

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