105 femminicidi dall’inizio dell’anno. Una donna ammazzata ogni tre giorni.
105 morte ammazzate destinate ad aumentare esponenzialmente perché esponenzialmente cresce la ribellione delle donne ai legami violenti.
105 punte dell’iceberg, dove sotto il pelo dell’acqua si celano la violenza istituzionale e il patriarcato, compreso quello di Stato.
Un vero e proprio bollettino di guerra la cui risposta è sempre e solo la repressione, l’inasprimento delle pene, la sicurezza e la militarizzazione dei territori.
Una risposta velenosa e deviante per un Paese brutalizzato da chi aizza la pancia e cerca il consenso strumentalizzando le donne ammazzate, invece di offrire soluzioni e investire risorse per analizzare e combattere le radici culturali della violenza.
Un Paese dove negli scranni governativi siedono parlamentari che si astengono o addirittura votano contro la ratifica della Convenzione di Istanbul, trattato internazionale giuridicamente vincolante, che non solo riconosce il ruolo della violenza economica e psicologica sulle donne e di genere, ma indica la prevenzione e la protezione come vie maestre al contrasto della violenza.
Un governo che non garantisce il diritto alla casa, taglia il reddito, le pensioni, i finanziamenti ai centri antiviolenza, l’accesso alle cure sanitarie, agli asili, ai consultori, senza offrire alcun sostegno economico per avviare percorsi di fuoriuscita dalla violenza per le donne e le persone LGBTQIA+.
Che investe nelle armi e porta la cultura della guerra, dispositivo violento per definizione, nelle scuole e nelle Università attraverso i militari, ma alza barricate contro l’introduzione di corsi per l’educazione sessuale, sentimentale e al rispetto delle diversità e non investe nella formazione di quegli attori che dovrebbero riconoscerla, prevenirla e combatterla: insegnanti, operatori sanitari dei PS, forze dell’ordine, magistrati, giornalisti.
Che punta al Dio, Patria, Famiglia per assegnare alla donna il ruolo di ancella e fattrice e rifiutarsi di riconoscerla come libera soggettività, con diritto di scegliere e di autodeterminarsi.
Un governo razzista che attraverso l’ennesimo “Decreto sicurezza” istituzionalizza la sottrazione di bambini Rom pur di assicurare il carcere alle loro madri.
Che chiede silenzio per l’ennesima donna morta ammazzata dall’ennesimo “bravo ragazzo” in preda all’immancabile “raptus”, sapendo che stare zitte, succubi e sottomesse alimenta quel brodo culturale di cui si nutre la violenza contro le donne e di genere. Un silenzio complice.
Noi vogliamo contribuire invece a restituire a questo 25 Novembre la sua dimensione di rabbia e di lotta e non lasciare nessuno spazio ad operazioni retoriche da parte di questo governo.
Invitiamo tutte e tutti a scendere in piazza a Roma (Circo Massimo, ore 14.30) e a Messina (Largo Seggiola, ore 15) nelle manifestazioni organizzate dal Movimento transfemminista Non Una di Meno.
Invitiamo tutte le lavoratrici che subiscono molestie nei luoghi di lavoro a rivolgersi agli sportelli che USB, in collaborazione con rete Iside, ha aperto in numerose città italiane.
Unione Sindacale Di Base