Il 1° luglio, infatti, si è perfezionato l’accordo che sancisce lo smembramento di TIM in un’azienda di servizi, la TIM, e un’azienda che gestirà una porzione della rete, FiberCop, venduta agli americani del fondo speculativo KKR.
L’ennesima svendita di un’infrastruttura nevralgica, che il ministro Giorgetti ha salutato come “una grande operazione di politica industriale che, tra l'altro, mette in sicurezza Tim e i suoi lavoratori”.
Negli ultimi anni di queste operazioni caro ministro ne abbiamo viste tante anzi troppe e tutte finite male.
Questa prima settimana di luglio 2024 sarà ricordata come la settimana in cui il governo degli italiani consegna due grandi e storiche compagnie, TIM già Telecom e ITA già Alitalia, entrambe decisive per lo sviluppo del paese, a soggetti come KKR e Lufthansa.
Il grado di sudditanza della classe “dirigente” italiana è testimoniato dal comportamento dei media che solo ex post si sono accorti dell’operazione di separazione TIM. Dopo aver lasciato campo e sostenuto la vendita di TIM ora pur con mille distinguo si comincia a sollevare qualche dubbio sul ritorno economico dell’iniziativa, sull’opportunità di cedere la rete in quanto risorsa strategica ad un paese straniero e proprio in ultima battuta sui pericoli occupazionali che si presentano all’orizzonte.
Sono almeno dieci anni che l’USB denuncia lo stato comatoso a cui è stata ridotta TIM, costretta a dimenarsi nelle secche di una concorrenza senza scrupoli incoraggiata dai Governi di turno e anche qui sono molte le analogie con altri settori privatizzati e tra questi il settore aereo.
Diversi i CEO alla guida di TIM, che si sono alternati, ma nessuno ha attuato un piano industriale di rilancio del servizio, tutti piuttosto hanno inseguito la politica dei tagli e dei ribassi, tutti hanno ricorso sistematicamente alla riduzione del personale, alla compressione del salario, e fin dal 2010 con attraverso la cassa integrazione. La politica di riduzione dei costi ha visto la direzione TIM fare un ricorso sistematico agli appalti, con il taglio unilaterale dei costi delle commesse, pagato sempre e comunque dai lavoratori, in questo caso delle ditte “esterne”.
Il rischio reale è che il futuro sia di FiberCop, sia di TIM, sconti presto i limiti evidenti di questa operazione, considerata l’incertezza sul fronte della sostenibilità del debito di entrambe le società, a fronte di una concorrenza sempre più caratterizzata dai processi di digitalizzazione.
Per FiberCop, è forte il timore occupazionale per i circa 20mila dipendenti, l’azienda si prepara a gestire la porzione di rete che richiede più investimenti.
Su FiberCop grava una forte esposizione finanziaria e non è ancora chiaro la proprietà come intende affrontarlo. In ultimo essendo il fondo KKR un fondo speculativo, difficile che ragioni in termini di investimenti, ripianamento del debito, i fondi tagliano i costi, oppure si ritirano una volta terminata la speculazione finanziaria, lasciando allo stato la gestione del debito, dell’occupazione e dell’adeguamento del sistema tecnologico.
Per niente scontato è anche il futuro di TIM, o società di servizi, operazione fatta con lo scopo di fare cassa e ridurre il debito accumulato negli anni delle scalate dei vari gruppi finanziari.
Una missione industriale debole e di corto respiro, in un mercato dove la competizione è esasperata, se la bussola del CEO e del governo è incassare soldi, dobbiamo temere la svendita anche dei segmenti Customer Care e Consumer. Senza contare che KKR un pensierino sul vasto patrimonio immobiliare TIM e sula gestione dei fondi del PNRR sicuramente lo ha fatto, se questo coincide con gli interessi dei dipendenti e con gli interessi generali, abbiamo più di qualche dubbio.
Secondo USB, c’è quindi il rischio concreto che si siano costituite due BAD COMPANY, il ruolo del Governo e della politica, in maniera trasversale, emerge in tutta la sua gravità.
Nonostante sia evidente il fallimento delle privatizzazioni in ogni campo e settore, è stata avallata un’operazione in perdita a tutto vantaggio di un fondo americano, che determina l’impoverimento del tessuto industriale e la perdita della gestione di un'altra infrastruttura cruciale per il paese.
USB Telecomunicazioni