Come anticipato da tempo, dopo la decisione del CdA TIM di vendere la rete al fondo KKR, il piano di separazione fra NetCo e ServCo è stato illustrato ai sindacati. L’operazione dovrebbe concludersi per l’estate 2024 una volta definite le necessarie autorizzazioni regolamentari e le condizioni del contratto dei servizi resi da NetCo a TIM (ServCo) e viceversa.
Nonostante le rassicurazioni, è inutile negarlo, questo Piano Industriale presenta molti punti di debolezza e di criticità sulla sostenibilità e le sue concrete prospettive nel medio/lungo periodo, sia dal punto di vista economico che dal punto di vista occupazionale.
È davvero arduo comprendere come questa soluzione possa funzionare bene, con due società separate, governate da azionisti diversi, dove l’interazione tra lo sviluppo della rete e l’offerta di nuovi servizi dovrebbe essere continua. Questo soprattutto se il livello del debito commisurato ai ricavi di ciascuna azienda non consentirà investimenti indipendenti una volta esaurita la “droga” dei finanziamenti pubblici del PNRR.
Se poi verrà confermata l’idea della cosiddetta “rete unica” che dovrebbe nascere dalla fusione tra NetCo e Open Fiber non prima della seconda metà dell’anno prossimo, è legittimo chiedersi quale sostenibilità economica possa avere una società così indebitata, visto che i debiti di Open Fiber hanno raggiunto la stratosferica cifra di sei miliardi.
Sostenibilità economica che verrà aggravata certamente nel medio-lungo termine se i prezzi di interconnessione imposti da AGCOM rimanessero gli attuali, grazie ai quali gli operatori si contendono i clienti a suon di sconti, riducendo fortemente i margini. Tutto questo a meno che politicamente non si decida di uscire dall’attuale circolo vizioso della guerra dei prezzi al massimo ribasso, con conseguente aumento, però, delle tariffe a discapito del cliente finale.
Tra i tanti dubbi, ci chiediamo: l’offerta di KKR su TI SPARKLE è semplicemente utile per fare cassa oppure nasconde dietro qualcos’altro?
Aggiungiamo a tutto questo un clima aziendale, ben differente da una ipotetica “comfort zone”, sempre più negativo e rassegnato, dopo anni di sacrifici salariali e soggetto alle continue riorganizzazioni operative e funzionali, dove è difficile intravedere una chiara prospettiva strategica futura.
Per chi ancora avesse dei dubbi, vogliamo ricordare che l'infrastruttura di rete non è fatta solo di cavi, in rame o in fibra, ma di apparati intelligenti, di hardware e di software che, grazie all’uso di tecnologie sempre più sofisticate, hanno consentito agli operatori di offrire nuovi servizi.
E soprattutto questa infrastruttura integrata è vitale per la sovranità del sistema paese, visto che su di essa circola l'informazione pubblica (dati sensibili), le transazioni monetarie e qualunque operazione di interesse militare. Infrastrutture strategiche come le telecomunicazioni, vanno gestite con molta attenzione visto che da queste dipende il funzionamento del sistema Paese. Cedere il loro controllo significa, sostanzialmente dare ad estranei le chiavi di casa propria.
Dopo la separazione della rete si prefigura il colpo di grazia? La liquidazione?
La Nazionalizzazione delle TLC è l’unica strada percorribile, tramite una gestione pubblica che garantisca l’interesse generale, la democrazia e l’indipendenza della politica industriale del paese.