In questi giorni si parla molto dei costi della politica, di quanto costa il Parlamento ed i suoi inquilini. Renzi ha impostato la sua campagna referendaria proprio sui risparmi che si otterrebbero con un si al Referendum. In effetti si risparmia veramente poco, riducendo però drasticamente la rappresentatività del Parlamento nel suo complesso. Noi che siamo convinti e sosteniamo il NO al Referendum riteniamo che quel piccolo risparmio sia peggio del problema che crea, cioè un Senato fatto di Senatori/Amministratori locali che non svolgeranno bene nessuno dei due ruoli.
Anche se quindi l'obiettivo di Renzi non è quello della riduzione dei costi ma quello di accentrare ulteriormente il potere sul governo, se proprio si voleva dare un segnale per risparmiare sui costi della politica, allora si potevano ridurre gli stipendi di tutti i parlamentari.
Cosa si fa invece? Si risparmia sui lavoratori che lavorano nei palazzi della politica con appalti che producono licenziamenti, riduzioni di orari, cambi di appalto sempre più al ribasso. sono questi gli espedienti pensati e realizzati dalla Camera dei Deputati per far apparire che anche la politica può spendere di meno. Con la strategia dei cambi appalto al ribasso si paga sempre di meno il lavoro e nei contratti di servizio la Camera non inserisce clausole che potrebbero salvaguardare il salario e le condizioni di lavoro acquisiti.
Qualche mese fa, per esempio, è stato revocato all’azienda Milano 90 un appalto in cui lavoravano oltre 400 operai. I lavoratori hanno perso il lavoro per la scelta della Camera di revocare anticipatamente il contratto di servizio, sebbene lo stesso scadesse nel 2019, e solo una minima parte dei lavoratori è stata successivamente ricollocata in un altro appalto.
Il dato raccapricciante è che, oltre ai licenziamenti, la Camera sta permettendo alle società appaltatrici di sottoscrivere contratti di lavoro che si collocano economicamente sulla soglia di povertà, anche per sole tre ore al giorno. Questo è il caso della Ati, vincitrice dell'appalto delle pulizie dei palazzi Camera, subentrata dai primi di ottobre di quest'anno che ha effettuato un taglio immediato delle ore di lavoro del 15%. Tradotto si lavora per 90 euro a settimana!
O come per la Cedat 85, altra azienda che gestisce prevalentemente la trascrizione degli atti parlamentari e la manutenzione degli impianti di condizionamento, subentrata dal 1 gennaio 2016. In barba alle leggi che sanciscono l'obbligatorietà dell'applicazione di un contratto nazionale negli appalti pubblici, è subentrata con un contratto aziendale, tra l'altro sottoscritto con una sola sigla sindacale minoritaria. Come se non bastasse, ha tagliato in maniera unilaterale la retribuzione annua dei lavoratori di 8.600 euro in meno e non paga ai lavoratori alcune indennità previste dal contratto aziendale.
Il paradosso è che questo accade all'interno delle istituzioni deputate ad emanare leggi che dovrebbero tutelare i diritti dei cittadini ed assicurare l'osservanza delle stesse.
A questo punto la considerazione che sorge spontanea è che se la Camera dei Deputati si comporta con i lavoratori che la fanno funzionare come e forse peggio di una generica azienda privata, allora c'è veramente da preoccuparsi per come gestisce la vita legislativa dell'intero paese.
Altro che abolizione del Senato, qui ci vorrebbe una presa di parola dei cittadini che modifichi radicalmente questo stato di cose: dopo lo sciopero generale del 21 ottobre e la riuscita manifestazione nazionale del 22 ottobre, ora si può continuare con le lotte e le mobilitazioni sui posti di lavoro e con un bel NO al Referendum del 4 dicembre.