Vogliamo affrontare questa crisi divenuta sistemica iniziando a trasformare il sistema ed inserendo concetti chiari quali il rifiuto alla guerra, alle spese militari e cessazione di tutte le missione di guerra.
Possiamo permetterci di ignorare ancora il problema?
Se la sicurezza è un bene pubblico, niente è più inutile di una portaerei, un sommergibile o un cacciabombardiere per proteggere i cittadini dalle mafie e dalla criminalità organizzata, dal terrorismo e dalla malavita, dall'illegalità, dalla corruzione e dalla disoccupazione, dall'inquinamento o dalla sofisticazione alimentare.
Le nostre spese per la sicurezza sono fortemente squilibrate a favore di un modello militare anacronistico, insostenibile e inutilmente offensivo mentre i problemi della sicurezza oggi esigono una pluralità di strumenti in prevalenza preventivi e non militari.
Riequilibrare in modo intelligente la spesa per la sicurezza ricordandoci che investire sulla cooperazione, sulla diplomazia (anche popolare) e sull'intelligence è molto più efficace e redditizio che continuare a costruire costosissime macchine da guerra e mantenere in vita un mastodontico esercito di 180.000 uomini.
Ci sono tagli che si possono fare subito e altri che debbono essere pianificati.
Ragionevolmente si può partire dalla cancellazione del programma di acquisto dei 131 cacciabombardieri F-35 (costo complessivo di venti miliardi di euro) e dalla completa revisione di tutti i 71 programmi di ammodernamento e riconfigurazione di sistemi d'arma che ipotecano la nostra spesa militare fino al 2026.
Da rivedere immediatamente sono anche le missioni militari nel mondo e in particolare quella in corso in Afghanistan e in Libia.
Per alcuni sono "uno dei fiori all'occhiello della politica estera italiana" che non ci possiamo permettere di toccare pena il nostro declassamento internazionale.
Per altri sono solo guerre vietate dalla nostra costituzione incapaci peraltro di risolvere i problemi che pretendono di affrontare.
Smettere di fare la guerra ci aiuterà a risanare il debito pubblico meglio di qualunque altro taglio alla scuola, agli enti locali o alle pensioni.
Contro la sola ipotesi di revisione della spesa militare si batte da tempo una potente lobby trasversale politico-militare-industriale povera di idee e ricca di complicità mediatiche.
Per convincere i parlamentari a tagliare e rivedere seriamente le spese militari si dovranno mobilitare molte, moltissime persone, in ogni città e in ogni collegio elettorale
In sostanza, mentre il Governo sta pensando di ritoccare le pensioni, di inasprire il prelievo fiscale e di potare - ancora una volta - il bilancio di molti ministeri, l’Italia vuol continuare la sua corsa agli armamenti.
Come cittadini vogliamo sapere che tipo di pressione fanno le industrie militari sul Parlamento per ottenere commesse di armi e di sistemi d'arma.
Vogliamo sapere quanto lucrano su queste guerre aziende come la Finmeccanica, l'Iveco-Fiat, l'Oto-Melara, l'Alenia Aeronautica.
Ma anche quanto lucrano le banche in tutto questo.
Come cittadini vogliamo sapere quanto va in tangenti ai partiti, al Governo sulla vendita di armi all'estero.
L'esportazione di armi dell'Italia nel 2010 è stato pari a 6 miliardi di euro.