La fuga dai Pronto Soccorso è un tema annoso che campeggia in continuazione sui media. Parole date in pasto all’opinione pubblica per screditare sempre di più il ruolo degli operatori sanitari, facendone la causa primaria del disastroso funzionamento del soccorso sanitario di emergenza.
Le condizioni lavorative nella maggior parte dei Pronto Soccorso di tutto il territorio nazionale sono davvero disastrose, perché gli operatori combattono quotidianamente con carichi di lavoro pesantissimi, da imputare in primo luogo alla grave carenza di personale, la causa primaria delle ormai quotidiane violenze e aggressioni.
Un tema così importante da sensibilizzare lo scorso anno la nostra politica, tanto da impegnarsi a intervenire sulla Legge di Bilancio 2021 (art. 1, comma 293, L. 234/2021) per strutturare un riconoscimento economico finalizzato ad impedire a questi operatori di lasciare i pronto soccorso.
Un intervento che però si è rivelato offensivo della dignità e della professionalità di questi operatori: infatti nell’ultimo rinnovo del CCNL (2.11.2022), l’art 107 comma 4, nel recepire la Legge di Bilancio 2021, stabilisce che agli operatori del Pronto Soccorso compete una indennità mensile lorda che varia dai 40 ai 100 euro al mese, in base agli accordi regionali.
Quindi, a conti fatti, si tratterebbe di portare nelle tasche degli ex eroi circa 47 centesimi netti l’ora. Questo concretamente è il valore che governo e sindacati firmatari attribuiscono ai dipendenti che lavorano nei servizi di emergenza/urgenza. Diventa davvero umiliante pensare che un lavoratore non lasci un servizio perché si faccia ingolosire da 47 centesimi l’ora di retribuzione in più.
Ma se il contratto è imputabile alle precedenti politiche governative, il nuovo Esecutivo ha fatto anche di peggio: infatti nella Legge di Bilancio 2023 era prevista un’integrazione economica (si tratta sempre di spiccioli, attenzione!) sull’indennità dei Pronto Soccorso, che però è stata fatta volutamente slittare al primo gennaio 2024.
Ricordiamo a titolo di cronaca che ancora oggi - dopo la pandemia -, questi servizi sono presi d’assalto incessantemente, grazie allo smantellamento della medicina territoriale, alla chiusura di migliaia di posti letto negli ultimi decenni e alle sempre più cospicue liste di attesa nel SSN. Un disastro politico che costringe migliaia di lavoratori a lasciare questi servizi e che non si può contrastare certamente con una misera paghetta mensile.
Crediamo che la sanità pubblica abbia bisogno di interventi seri e strutturali, come assunzioni stabili, aumenti veri dei salari in linea con gli altri paesi europei, nonché maggiori interventi in termini di sicurezza sul lavoro. Certamente non ha bisogno di queste buffonate.
USB Sanità