Le notizie che riguardano l’Ater del Comune di Roma uscite in questa settimana sono sostanzialmente 2[1]:
- diverse sentenze di Cassazione confermano l’esonero del pagamento dell’Imu da parte degli ex Iacp, nelle loro denominazioni attuali, ai comuni
- Il bilancio dell’Ater del Comune di Roma è sempre più in rosso.
Questi due dati, riportati in altrettanti articoli scritti da Valerio Valeri e pubblicati su romatoday, sono collegati tra loro, in quanto parte dell’elefantiaco debito di Ater deriva proprio dall’assurda pretesa che questo Ente paghi l'Imu. In pratica lo stesso Ente che detiene e gestisce la maggior quota di patrimonio destinato all’assistenza alloggiati debba pagare a Roma Capitale, ossia l’ente territoriale che di quegli alloggi beneficia, in quanto sono a loro volta assegnati ai suoi cittadini, allievando, seppur in modo altamente insufficiente, l’alta tensione abitativa che grava sulla capitale, grazie a canoni che per legge devono essere proporzionati ai redditi percepiti. Nello stesso paese in cui soggetti, anche puramente economici, beneficiano di esenzioni e sconti.Solo a titolo di esempio citiamo le esenzioni Imu di cui godono i gruppi immobiliari e costruttori per i cosiddetti beni merce, fabbricati destinati alla vendita, o la scontistica per i proprietari che affittano adottando l’accordo territoriale (i contratti a canone concordato) nonostante questo non garantisca alcuna calmierazione degli affitti, o ancora l’esenzione per gli immobili di culto. L’Ater invece dovrebbe versare circa 60 milioni l’anno per i suoi alloggi. L’altra voce che pesa sul bilancio Ater sarebbe quella delle somme non percepite a titolo di affitto e oneri dai propri inquilini.
Ci sono altri dati però che dovrebbero a nostro avviso essere spiegati e presi in considerazione e riguardano sia altre voci di bilancio che la composizione della morosità. Cominciamo dagli immobili residenziali. Dalla lettura degli ultimi 5 bilanci balza subito all’occhio che il numero di alloggi di proprietà Ater è diminuito di 1.340 unità. E questo nonostante i piani di intervento per la realizzazione attraverso costruzione o frazionamento di oltre 700 nuove case popolari, risalenti alla scorsa giunta regionale (marzo 2019). Oggi però scopriamo che gli alloggi sono molti di meno, evidentemente a causa della dismissione e dei piani vendita che l’ente regionale porta avanti. Una parte (180 alloggi nel 2019) di quel patrimonio è stata tra l’altro sottratta alla graduatoria (15.000 famiglie in attesa) per essere destinata all’Housing Sociale, il quale genera canoni più alti e prevede la futura vendita (ulteriore dismissione), non impattando minimamente sulla crisi degli affitti e degli alloggi se non negativamente. Per avere un’idea di cosa voglia dire 1.340 alloggi in meno in un quinquennio riportiamo la stima delle case che Roma Capitale riesce ad assegnare usando TUTTO il patrimonio (Ater + Comune stesso) in un anno: mediamente circa 300 (in aumento per fortuna negli ultimi due anni). Praticamente l’Ater ha venduto più o meno gli stessi alloggi che il Comune di Roma è riuscito ad assegnare nello stesso lasso di tempo. Con buona pace degli aventi diritto che attendono mediamente 10 anni per vedersi assegnare un alloggio. Tanto ci sono sempre gli occupanti da incolpare o diffamare a mezzo stampa.
Secondo dato, incidenza sul debito delle morosità. Non siamo in grado ad oggi di stabilire quanto sulle morosità pesino le cifre dovute per indennità di occupazione. Questo dato è importante perché gli importi richiesti a titolo di indennità dall’Ater non sono gli stessi per tutti e spesso sono altissimi proprio nelle zone più povere. Le indennità di fatti sono più alte laddove le costruzioni sono più recenti. Questo fa sì che in quartieri come Tor Bella Monaca, Ponte di Nona, Vigne Nuove ed altri, gli affitti oscillino fra gli 800 e i 1000 euro, a fronte di alloggi che proprio perché più vetusti, pagano 120, 160, 190 euro. A peggiorare le cose è l’assurda interpretazione che proprio Ater Roma ha adottato nell’applicazione della regolarizzazione del 2020, cioè la richiesta non delle sole sanzioni previste dalla legge, ma anche delle morosità antecedenti gli ultimi 5 anni. Eppure il comma in questione recita: “Per il periodo dell’occupazione dell’alloggio, per un massimo di cinque anni, in deroga all’articolo 15, comma 5, della l.r. 12/1999, è dovuta una indennità pari al canone ERP calcolato in base al reddito, oltre alla sanzione di euro 200,00 mensili, ridotta del 10 per cento per i nuclei familiari in cui siano presenti minori o del 20 per cento qualora siano presenti minori con disabilità, nonché le spese per i servizi a rimborso, a decorrere dalla data di occupazione e fino alla data della presentazione della domanda”. Questa interpretazione, secondo noi sbagliata, ha prodotto la mancata regolarizzazione di molti nuclei che per reddito hanno diritto ad un alloggio (inferiore a 21.000 lordi circa), ma che per regolarizzarsi dovrebbero pagare dai 60 ai 120 mila euro! È chiaro che questi importi messi a bilancio costituiscano dei crediti inesigibili che mai l’ente potrà incassare, cui però l’ente, che potrebbe chiedere fino a 12.000 euro di sanzioni, non rinuncia.
Per concludere, crediamo che si possano fare diverse cose per migliorare la situazione:
- rinunciare alle morosità difficilmente recuperabili, attraverso l’applicazione autentica della norma di regolarizzazione e con abbattimenti proporzionati ai redditi (come con l’ultima transazione), oltre che rivedendo i criteri stessi di richiesta delle indennità;
- regolarizzare più posizioni possibili in tempi brevi, riaprendo i termini per la sanatoria e togliendo il requisito cronologico del maggio 2014;
- interrompendo le dismissioni e gli inutili bandi Housing Sociale e destinando più risorse e personale ad un intervento abitativin grado di alleggerire l’emergenza;
Asia-Usb Roma