Il ministro Valditara si sta mostrando molto velocemente per quello che è: un politico autoritario e reazionario.
È di ieri la gravissima affermazione fatta al convegno “Italia direzione Nord” (un nome un programma), poi parzialmente ritrattata, per cui bisognerebbe introdurre lavori socialmente utili e un metodo “educativo” basato sull’umiliazione. Le parole esatte sono state: “Soltanto lavorando per la collettività, umiliandosi anche, si prende la responsabilità dei propri atti. Evviva l’umiliazione che è un fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione della personalità, di fronte ai propri compagni. Da lì nasce il riscatto. Quando io ero un bambino, il maestro era il maestro con la emme maiuscola. Così non si può più andare avanti”.
Questa è solo l’ennesima uscita inquietante del neoministro: ricordiamo solo per completezza quella per cui chi vuole il reddito di cittadinanza dovrebbe completare il percorso di studi, una affermazione che risponde esattamente alla logica padronale per cui la povertà sarebbe una colpa e non una condizione creata da meccanismi strutturali.
Ma questa affermazione è particolarmente grave per chi vive la scuola ogni giorno come docente, lavoratore ATA o studente. L’umiliazione non è e mai potrà essere un meccanismo educativo efficace. L’umiliazione annulla la persona che la subisce, tanto più se è un soggetto in crescita, tanto più se presenta comportamenti problematici, che certo non sono frutto di accidenti o destino, ma delle condizioni sociali, economiche e culturali in cui un giovane è immerso. 70 anni e più di pedagogia progressista hanno chiarito in modo inequivocabile che umiliare non equivale ad educare. Certo non umiliavano i loro studenti, che provenivano dai ceti proletari, né Mario Lodi, né Gianni Rodari, tantomeno Lorenzo Milani, Bruno Ciari o Danilo Dolci, per citare solo alcuni dei più importanti pedagogisti italiani del secondo ‘900.
Questa generazione studenti ha attraversato una pandemia globale, gli è stato nei fatti sottratto il diritto allo studio e alla socialità, per scelte che al loro centro hanno avuto solo l’economia e il profitto. Da decenni i giovani sono costretti a subire una scuola sempre più impoverita nei contenuti, orientata alle imprese, di classe, dove chi è ricco accede al meglio dell’educazione possibile e chi è povero non ha alcuna reale possibilità di migliorare la sua condizione sociale. Vivono una scuola che spesso non sa interagire efficacemente con loro, per limiti strutturali, di risorse e a volte anche di mentalità, la percepiscono spesso come una gabbia da cui è impossibile uscire e ora un ministro autoritario, repressivo e reazionario li vorrebbe anche umiliati, schiacciati, inviati ai lavori socialmente utili.
E la scusa sarebbe ridare autorevolezza i docenti, come se l’autorevolezza venisse dall’uso della violenza psicologica sugli studenti. L’autorevolezza, caro ministro, nasce dalla relazione, dalla competenza, dal sapersi conquistare la stima dei docenti. Certo aiuterebbe che i docenti fossero stabili, assunti a tempo indeterminato, in numero sufficiente per affrontare le situazioni difficili, non ci pare che sulla profonda carenza di personale che la scuola italiana soffre da decenni lei si sia espresso con uguale vigore.
USB Scuola e OSA lo dicono con chiarezza: umiliare non è educare. Rigettiamo con indignazione questa impostazione educativa, questa visione della scuola e questa idea di relazione tra adulti e giovani.
USB Scuola
OSA