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Editoriale

I(m)prenditori di salute pubblici e privati. Le ragioni dello sciopero della sanità del 2 luglio

Nazionale,

Il prossimo 2 luglio si terrà uno sciopero necessario.

Uno sciopero nel quale le lavoratrici ed i lavoratori della sanità potranno scioperare insieme, siano essi dipendenti pubblici o privati, assunti o in appalto.

Uno sciopero necessario che arriva in un momento storico particolare quando, nella fase calante dell'epidemia che ha martoriato il paese con 34000 morti, i segnali che giungono dal governo e dalle regioni dicono chiaramente che non c'è nessuna intenzione di mettere mano al sistema sanitario del paese i cui pesanti limiti sono apparsi in modo netto nel corso dell’emergenza. Malgrado sia molto chiaro che il virus non è stato l’unico killer durante la pandemia ma ha avuto complici e complicità evidenti nei politici e nelle scelte che hanno contraddistinto le politiche sanitarie dell’ultimo ventennio.

E ad oggi, infatti, non si registra la volontà di ripristinare i finanziamenti per la sanità pubblica (-37 miliardi negli ultimi 10 anni), né di recuperare i posti letto tagliati (-137 mila dal 1996), ma neppure di assumere in modo stabile una parte delle 50.000 unità di personale tagliate negli ultimi 11 anni, 12.000 dei quali sono infermieri.  Un silenzio di piombo anche sulla necessità di ridare vita ai servizi territoriali, la cui drastica riduzione, a partire da quelli di prevenzione, sono tra le maggiori cause di morte da Covid-19, soprattutto in alcune regioni, tra le quali la Lombardia che meglio di tutte rappresenta quel modello fatto di privatizzazioni e trasferimento di risorse dal pubblico al privato, tagliando servizi vitali  ma “improduttivi” (come quelli di prevenzione, ad esempio) nella logica che la sanità deve produrre profitto e non salute.

Nessuna volontà nemmeno di porre fine al pasticcio della regionalizzazione della sanità, uno spezzatino di ben venti sistemi sanitari diversi che ha fatto in modo che le sorti e la vita dei cittadini dipendessero dalle scelte di presidenti ed assessori regionali che spesso si sono dimostrati perfetti incompetenti.

In tutto questo, la sanità privata ha mantenuto intatto tutto il suo potenziale, in mano ad imprenditori della malattia che realizzano profitti pari al 10/15% degli introiti complessivi, costituiti dalle quote trasferite dalle regioni (stimate in più di 40 miliardi all’anno!); è un dato che non ha eguali in Europa, e che è possibile grazie alle politiche complici delle amministrazioni regionali, contrassegnate da malaffare e corruzione diffusi.
Un sistema che realizza una parte dei suoi giganteschi profitti anche attraverso lo sfruttamento dei lavoratori, vuoi attraverso il precariato, vuoi attraverso stipendi assolutamente inadeguati: rispetto a questo non può passare in silenzio la vicenda del recente rinnovo contrattuale dei lavoratori della sanità privata che – ben tredici anni dopo la firma dell'ultimo contratto!- avranno aumenti che, però,  saranno pagati al 50% dalle Regioni. È l'ennesimo regalo della politica a questi rapaci i(m)prenditori, malgrado i loro immensi profitti vengano gestiti da società che hanno sede in paradisi fiscali, soprattutto in Olanda. Evidente è la complicità di Cgil, Cisl e Uil che di questo sistema sono parte determinate, una sorta di notaio cieco che funziona da certificatore di accordi a perdere.
Così come non bisogna dimenticare qual è stato il vero ruolo della sanità privata nel corso della pandemia: una sanità che si è mossa, in ritardo, solo se costretta e comunque operativa a regime solo dopo la sottoscrizione dei patti con le regioni nei quali si stabilivano le tariffe giornaliere per le degenze.
Prenditori, appunto.

Così come sporchi - sporchissimi! -  affari sono quelli che si consumano nel mondo delle Cooperative Sociali e più in generale del Terzo Settore: un mondo nel quale lo sfruttamento e il lavoro nero proliferano in un sottobosco noto a tutti ma nel quale nessuno vuole mettere mano. D'altronde, il sistema degli appalti che foraggia questo universo è saldamente in mano a variegate forme di mafia che vive in stretta relazione con gli amministratori pubblici: anche in questo caso, il sistema Lombardia  – che per molto tempo è stato assunto a modello per molte altre regioni - è esempio lampante di questo paradigma ed è ben certificato dalle condanne di Formigoni, Mantovani e Rizzo, tre amministratori pubblici finiti nei guai per i loschi rapporti nella gestione del sistema sanitario regionale.

Tutto ciò appare ancora più grave e necessario di grandi cambiamenti, alla luce degli effetti della pandemia e delle fragilità che ha messo in luce e che sono stati chiari agli occhi di tutti prima che tutto lentamente, come sta ancora succedendo, scivolasse velocemente nel dimenticatoio individuale e collettivo. Salvo milioni di prestazioni non effettuate, che avranno un pesante impatto sulla salute dei cittadini per i prossimi anni e che contribuiranno, al pari del Covid, all’abbassamento dell’aspettativa di vita di questo Paese.

Un disagio, spesso incompreso pienamente da parte dei cittadini, che ha trovato uno sfogo nella sterile retorica degli "Eroi" della sanità che noi abbiamo da subito demolito con lo sciopero generale del 25 marzo, sapendo bene come sarebbe andata a finire.

È tutto ciò, a rendere necessario lo sciopero del 2 luglio. Serve che le lavoratrici e i lavoratori del settore, indipendentemente dal contratto o dal datore di lavoro, indichino la via corretta a chi ha il dovere di fare le riforme necessarie: stop alla regionalizzazione, assumere e stabilizzare il personale, ripristinare i posti letto tagliati e la necessaria spesa per il personale; abbassare drasticamente le quote di sanità privata, fino a ricondurre l’intero sistema sotto la gestione pubblica; rivedere il sistema degli appalti per liberare lavoratori e cittadini dal giogo di corruzione e sfruttamento.

Sarà un percorso lungo, tortuoso e accidentato, a tratti sembrerà impossibile – partendo dalle condizioni date - ma è l’unico modo per mettere il nostro sistema sanitario in condizione di dare risposte adeguate ai bisogni dei cittadini, mettendo al centro della sanità la loro salute e non le compatibilità economiche e gli affari. Sono queste le scelte che la politica è chiamata a fare e, di conseguenza, una nuova modifica al Titolo V della Costituzione non è più rimandabile. Scelte che al momento non sono evidentemente in agenda e tutto - a partire dal Decreto Rilancio, infarcito di sole misure provvisorie per la sanità – lascia presagire che si stia aspettando la fine della tormenta perché tutto ritorni a ciò che era.
Gli Eroi e le Eroine di ieri torneranno ad essere personale sfruttato e mal retribuito, dentro ad una sanità in coda alle classifiche europee in molti parametri importanti.
Contro tutto questo, in sintesi, è il nostro sciopero del prossimo 2 luglio: per il diritto alla salute, per una sanità nazionale, pubblica e universale.

 

Unione Sindacale di Base