Il 20 ottobre un ampio arco di forze sindacali, sociali, politiche, scenderà in piazza a Roma per rivendicare lo stop alle privatizzazioni e la nazionalizzazione delle imprese e dei servizi strategici.
Da decenni ci sentiamo ripetere che la parola d’ordine della nazionalizzazione è un’utopia ideologica e che il privato, se non proprio bello – ormai nessuno lo definirebbe più così - è meglio, più efficace ed efficiente.
Ma è davvero così?
Basta dare un’occhiata alla fine che hanno fatto le aziende pubbliche che sono state cedute ai campioni del capitalismo de noantri per definire queste operazioni un prodotto, questo sì dell’ideologia liberista, ma sopratutto un fallimento costato fior di miliardi ai cittadini/contribuenti.
25 anni fa nel pieno di un forsennato attacco speculativo, che causò una svalutazione della lira pari al 30%, con tassi che arrivarono a sfiorare il 40%, i governi Amato e Ciampi vararono due delle più sanguinose manovre finanziarie che la storia ricordi, quasi 130mila miliardi di lire, seguite da un piano di privatizzazione di aziende, società di servizi e banche senza paragoni in Europa.
Quella stagione non è mai finita dato che tra il 1999 e il 2000 fu liquidato l’IRI, Prodi presidente del Consiglio, dopo 67 anni di attività, chiudendo ogni residuo di intervento pubblico nell’economia del paese mentre le privatizzazioni continuano ad imperversare ancora oggi, come dimostrano alcuni fatti eclatanti quali la quotazione in Borsa dell’ENAV, unico esempio in Europa di cessione ai privati di un ente nazionale di assistenza al volo, che svolge un ruolo essenziale sulla sicurezza dei voli e come tale non dovrebbe rispondere a esigenze di profitto.
In alcuni casi si è trattato di privatizzazioni parziali, in particolare dei gioielli di famiglia: ENI, ENEL, SNAM, Poste, Cassa Depositi e Prestiti, ma nella stragrande maggioranza dei casi si è trattato di svendite e cessioni a compratori italiani e stranieri.
Non vogliamo qui ricordare ancora una volta la tragedia di Genova, ma la cessione della gestione della rete autostradale ha permesso ad Atlantia, la holding cassaforte della famiglia Benetton, di riempire di miliardi e miliardi i loro depositi mentre le autostrade cadono a pezzi causa il sensibilissimo calo degli investimenti nel corso degli anni e le tariffe sono tra le più care d’Europa e continuano ad aumentare a loro piacimento, così come permette la concessione.
Anche sul fronte dell’energia le aziende collocate in Borsa e sopra ricordate, comprese le ex municipalizzate, prime fra tutte ACEA e A2A, hanno distribuito cospicui dividendi ai soci tra i quali Ministero delle Finanze e Comuni, ma soprattutto ai fondi d’investimento internazionali e i soggetti stranieri, a differenza di quanto succede in Francia e Germania.
E’ chiaro che a rimetterci sono stati sia gli enti locali che lo Stato, un tempo proprietari al cento per cento di queste aziende di successo, e di conseguenza tutti noi cittadini che accanto al peggioramento vistoso dei servizi essenziali, come luce, gas, acqua e trasporti, ne abbiamo ricavato aumenti continui delle tariffe, tra le più care del continente mentre il padronato nostrano trovava il modo di uscire da una crisi che lo vedeva soccombente in un contesto di competizione internazionale e di sviluppo tecnologico che non era proprio attrezzato ad affrontare.
In effetti i cittadini hanno finanziato queste operazioni, permettendo a lor signori di appropriarsene e di continuare ad accumulare profitti da giocare poi sui mercati finanziari senza spendere un euro di tasca propria!È tempo di mettere la parola fine a questo sconcio, per questo il 20 ottobre manifesteremo a Roma a partire dalle ore 14 da Piazza della Repubblica.
1) Continua
Unione Sindacale di Base