All'interno di una legge di bilancio tutta orientata verso le spese militari (23 miliardi in tre anni), le poche e scarne norme che riguardano il pubblico impiego confermano in pieno il disinvestimento sul settore pubblico.
Dal punto di vista delle risorse per i rinnovi contrattuali, dopo la conclusione in due comparti su 4 dei rinnovi contrattuali 2022/2024 con una perdita secca del 10 percento del potere d'acquisto delle retribuzioni siamo alla vigilia di una nuova tornata di rinnovi già predefiniti nell'ammontare e che produrranno un'ulteriore perdita del potere d'acquisto dei salari, senza minimamente recuperare il 10% perso in questo triennio: stride il contrasto tra le astronomiche cifre destinate agli armamenti e quel misero 5,5 percento nel triennio che costituirà la bussola per i prossimi rinnovi contrattuali.
"L'attenzione” del governo verso il settore pubblico si sostanzia nella legge di bilancio in interventi di defiscalizzazione ininfluenti dal punto di vista economico e dannosi per quanto riguarda l'architettura del sistema fiscale.
Infatti, il cuore della manovra nei confronti dell'emergenza salariale dei dipendenti pubblici è, come per il privato, affidato al versante fiscale e porterà poco o niente nelle tasche delle lavoratrici e dei lavoratori pubblici.
La riduzione dell'aliquota fiscale dal 35 al 33% nello scaglione di reddito tra i 28.000 euro e i 50.000 euro porterà infatti nelle tasche delle lavoratrici e dei lavoratori al massimo 37 euro mensili per la fascia più alta; la cd tassa piatta del 15% sul salario accessorio solo per il 2026 ed entro il limite di 800 euro, determinerà nella fascia più alta un vantaggio fiscale di massimo 30 euro mensili.
Questo sarebbe il pacchetto economico destinato al settore pubblico!
Senza considerare che utilizzare lo strumento fiscale per affrontare il l'emergenza salariale è sbagliato perché introduce nel sistema fiscale una babele di eccezioni, regimi speciali e flat tax che lo allontanano sempre più dal suo carattere progressivo.
E poi naturalmente gli immancabili tagli: 7 miliardi in tre anni ai ministeri tra tagli diretti e rinvio degli investimenti, mentre sul fronte della sanità se pur vengono assegnati 7,7 miliardi nel triennio (ma attraverso misure che hanno comunque un carattere settoriale e parziale) per la prima volta la quota di ricchezza del paese destinata alla sanità scenderà nel 2028 sotto il 6%, in un contesto in cui cresce la spesa per la sanità privata e circa 6 milioni di cittadini rinunciano a curarsi.
Rimettere al centro la questione salariale a partire dai prossimi rinnovi contrattuali pubblici e rilanciare politiche che siano indirizzate a fornire servizi alla cittadinanza e non a rimpinguare le tasche dell'industria delle armi sono i due temi che caratterizzeranno la partecipazione del pubblico impiego allo sciopero generale del 28 novembre
Ne discutiamo il 1° novembre a Roma.
Usb Pubblico Impiego