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Nazionale Gli editoriali

Referendum costituzionale: le ragioni del NO


Pubblichiamo un contributo di Franco Russo del Forum Diritti/Lavoro sul Convegno Italia Repubblica precaria del 23 giugno scorso.

Bene ha fatto Paolo Leonardi, che con Fabrizio Burattini ha presieduto il convegno Italia Repubblica precaria. Verso il referendum costituzionale: le ragioni del no, a introdurre la questione del Brexit nel giorno del referendum britannico. E ha ben detto che,  di certo le forze populiste della destra sono oggi antesignani della fuoriuscita dall’Unione Europea, eppure in questa lotta contro l’oligarchia di Bruxelles e Francoforte sono attive anche forze a difesa degli interessi delle classi lavoratrici contro le politiche liberiste. Nello scenario si muovono differenti opzioni e culture, e il Brexit deve spingere a elaborare linee d’azione che portino alla rottura dell’UE e alla costruzione della solidarietà tra i lavoratori dei diversi paesi senza distinzione tra nativi e non nativi sul suolo europeo. Le destre sono per il libero mercato e la chiusura delle frontiere, noi siamo contro il dominio del mercato e l’apertura delle frontiere e la solidarietà con i migranti.
Il convegno, svoltosi il 23 giugno e organizzato dal Forum diritti/lavoro in collaborazione con l’USB, ha visto una forte partecipazione di sindacalisti impegnati quotidianamente nei conflitti sociali, e intenzionati a diffondere le ragioni del no alla controriforma della Costituzione e dunque attenti a seguire l’esposizione delle tematiche fatta da costituzionalisti e giuslavoristi.
Perché Repubblica precaria? Con questo titolo non si voleva solo indicare che le istituzioni repubblicane sono oggetto da trent’anni di attacchi continui per cancellarne la valenza democratica, si voleva anche indicare che divenuto il lavoro precario – sia perché si sono estese le sue tipologie contrattuali sia perché il lavoro stabile è stato destabilizzato con la cancellazione dell’articolo 18 dello Statuto del 1970 – anche la Repubblica, fondata sul lavoro come recita l’articolo 1 della Costituzione, è divenuta precaria. La Repubblica è oggetto di disegni di governi che mirano a centralizzare il potere e a depotenziare le istituzioni rappresentative, a cominciare dal Parlamento fino alle Regioni e alle autonomie territoriali.
Gaetano Azzariti ha diffusamente parlato della ricerca ossessiva da parte del governo Renzi, seguendo in questo Berlusconi, di meccanismi di ‘iperstabilizzazione’ dell’esecutivo, mentre per i lavoratori è stato sancito un regime di instabilità con il Jobs Act, come ben documentato da Carlo Guglielmi. Il nesso Costituzione - lavoro è stato il filo conduttore del convegno, messo in risalto nell’introduzione di Giorgio Cremaschi, e per questo esso si è svolto sui due binari della controriforma delle istituzioni politiche e di quella del diritto del lavoro pubblico e privato.
Quello che Azzariti ha definito ‘iperstabilizzazione del governo’, cioè la garanzia che il presidente del Consiglio, trasformato in ‘capo del governo’ attraverso la legge elettorale maggioritaria che gli garantisce 340 deputati a prescindere dal livello del consenso elettorale, fu chiamato ‘premierato assoluto’ da Leopoldo Elia. Renzi e Boschi sostengono che la loro ‘riforma’ dà vita a un bicameralismo differenziato con il fine della semplificazione delle procedure legislative, ma ciò non è vero perché vengono stabiliti ben sette complicati iter legislativi, oltre all’introduzione del ‘voto a data certa’ che consegna nelle mani del governo perfino l’agenda del Parlamento, non più autonomo neppure nella definizione dell’ordine dei lavori. Dunque nessuna semplificazione del procedimento legislativo, invece affermazione della centralità dell’esecutivo a scapito del Parlamento; potere rafforzato del governo a scapito della rappresentanza. Questa spinta alla centralizzazione del potere si riscontra anche nella revisione del Titolo V, che andava di sicuro riscritto dati i conflitti di attribuzione da essa innescati, di certo non andava revisionato nel senso di concentrare le competenze nello Stato centrale riducendo le Regioni ad apparati amministrativi, come spiegato da Laura Ronchetti. A questa processo di ‘amministrativizzazione’ delle Regioni, facilitato da un ceto politico regionale inquinato dalla corruzione e dal malgoverno, si è accompagnato un processo di privatizzazione del lavoro pubblico, indicato come nemico dei cittadini e causa di tutti i mali italiani (la burocratizzazione, le procedure complesse che portano allo stallo decisionale ...), mentre i servizi pubblici sono stati smantellati e i lavoratori pubblici hanno visto bloccati i loro contratti. Arturo Salerni ha passato al setaccio le norme della ‘riforma’ Madia sull’organizzazione del lavoro pubblico. Occorre sempre tenere a mente che i lavoratori pubblici sono coloro che fanno funzionare i servizi pubblici, quindi sono non nemici bensì alleati dei cittadini, e che le loro condizioni di lavoro sono funzionali ad un efficace gestione dei servizi volti a garantire i diritti sociali.
Il rovesciamento della democrazia rappresentativa, e la modifica sostanziale della stessa forma di governo – messe in risalto dal Claudio De Fiores – sono affidati alla legge elettorale, l’Italicum, visto che con il doppio turno per l’assegnazione del premio di maggioranza i cittadini non eleggono più i propri rappresentanti, votano invece per l’investitura del capo del governo.
Destabilizzazione del lavoro e stabilizzazione del governo: questo disegno politico non è stato solo di Forza Italia e del PD, è stata la strategia delineata dai grandi centri finanziari e delle Banche centrali – tutti gli interventi hanno ricordato la lettera di Draghi e Trichet del 5 agosto 2011 e il rapporto della grande banca J. P. Morgan del 28 maggio 2013, che chiedevano riforme per rafforzare l’esecutivo, introdurre il pareggio di bilancio, abbattere i diritti sociali, deregolamentare il mercato del lavoro, privatizzare i servizi pubblici.
Proprio dieci anni fa, 1l 25 e 26 giugno 2006, la stragrande maggioranza dei cittadini bocciò la controriforma di Berlusconi analoga a quella di Renzi, in autunno si può ottenere di nuovo una vittoria referendaria, però questa volta dobbiamo accompagnarla con una mobilitazione per cancellare anche le leggi che hanno distrutto il diritto del lavoro e annichiliti i diritti sociali, forti della consapevolezza che Costituzione e lavoro possono insieme perdere, e per questo insieme devono vincere.

Franco Russo