A Stellantis piace ribadire la centralità degli impianti italiani. Peccato che lo faccia accanendosi sul tessuto industriale nel nostro Paese. Lunedì infatti è arrivato il terzo annuncio di esuberi con uscite volontarie: altri duemila lavoratori al macero, che sommati ai precedenti portano a 7000 il totale della forza lavoro tagliata, quasi il 20% dei dipendenti nel Belpaese.
Tutto questo accade in assenza di un qualsiasi piano di sviluppo nel settore automotive, che USB continua a chiedere con insistenza e in beata solitudine, e senza alcuna interlocuzione con il Governo, autorelegatosi al ruolo di notaio anche se, ancora una volta, sarà la collettività italiana a farsi carico degli esuberi di massa con il ricorso alla Naspi e ad altri ammortizzatori sociali.
Accade, soprattutto, in un’azienda che nel 2022 è tornata a macinare utili da record ma che continua a sbandierare l’antica massima cui la famiglia Agnelli è storicamente affezionata: “Privatizzare gli utili (nella cassaforte olandese), socializzare le perdite (in Italia)”.
La strada intrapresa da Stellantis non porta da alcuna parte. Occorre al contrario un piano di rilancio vero, strutturato in modo da tutelare l’occupazione. Serve una strategia industriale che accompagni il passaggio dal sistema basato sul motore endotermico a quello incentrato sull’elettrico – scenario per il quale l’azienda è spaventosamente indietro e impreparata rispetto alla concorrenza - e che al suo interno preveda il sostegno all’occupazione, a partire dalla riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, proseguendo con il turnover e la transizione delle competenze.
Tutto questo abbiamo detto e continuiamo a dire al ministro Urso, affinché nessun semaforo verde si accenda per Stellantis, tanto meno con gli incentivi pubblici, che vanno vincolati alle garanzie occupazionali.
Unione Sindacale di Base – Lavoro Privato