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Industria

Stesso stato, stessa violenza sociale: da Jabil a GKN la repressione sostituisce la politica industriale. Serve un piano pubblico, non sgomberi! Presidio al consolato americano a Napoli

Napoli,

Questa mattina le lavoratrici e i lavoratori della Jabil di Marcianise sono di nuovo in piazza. Lo fanno dopo anni di sacrifici, promesse mancate, finte reindustrializzazioni e 406 licenziamenti. Lo fanno perché il Governo ha lasciato campo libero alla multinazionale americana, e perché i tavoli al MIMIT si sono rivelati, ancora una volta, strumenti per guadagnare tempo a favore dell’azienda (in questo caso la TME), non per trovare una vera soluzione industriale.

L’iniziativa dei lavoratori e delle lavoratrici Jabil si è svolta a Napoli, davanti al Consolato degli Stati Uniti, per ribadire che la responsabilità di quanto sta accadendo non è solo politica, ma anche geopolitica e industriale: un gruppo statunitense, che ha ricevuto fondi pubblici, oggi cancella 406 posti di lavoro, per delocalizzare, senza alcuna conseguenza.

Durante il presidio, una delegazione di lavoratori ha incontrato il console americano, consegnando un documento che riassume i nodi cruciali della vertenza e chiede un intervento immediato affinché venga garantita una soluzione industriale vera, duratura, non costruita sulla pelle dei lavoratori.

Oggi però questa mobilitazione assume un significato ancora più profondo.

A poche ore di distanza, a Firenze, il Tribunale ha ordinato lo sgombero forzoso del presidio permanente dei lavoratori ex GKN, attivo dal 2021. Una lotta esemplare, che ha elaborato una proposta dal basso di riconversione ecologica e pubblica della fabbrica, viene trattata come un problema di ordine pubblico.

Da Jabil a GKN, la gestione delle crisi industriali in Italia segue uno schema preciso:

  • nessun vincolo alle multinazionali,
  • nessuna vera politica industriale,
  • nessun investimento pubblico serio per salvare lavoro e produzione.

Quando i lavoratori resistono, allora arriva lo Stato: non con risposte, ma con gli sgomberi.

È lo stesso Stato. È la stessa violenza sociale.

La lotta della Jabil e quella della GKN parlano lingue diverse, ma denunciano la stessa realtà: un modello di sviluppo che considera i lavoratori un ostacolo e le fabbriche un costo.

Noi, al contrario, crediamo che il lavoro vada difeso e che l’industria debba essere rilanciata, sotto regia pubblica, con un ruolo diretto dello Stato e con la partecipazione dei lavoratori.

USB è al fianco delle lavoratrici e dei lavoratori Jabil in questa giornata di mobilitazione. E guarda con rispetto e solidarietà alla resistenza dell’ex GKN.

Perché chi lotta per il lavoro, ovunque lo faccia, sta lottando anche per noi.