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TIM, il progetto Desk Sharing e le linee guida sul lavoro agile nella filiera Tlc

Roma,

Le imprese lo vogliono usare per aumentare la produttività e abbassare le tutele e i diritti, la vicenda dei buoni pasto lo dimostra, unitamente al pericolo di costruire una modalità di lavoro penalizzante e alienante. I lavoratori lo vogliono per ridurre l’orario di lavoro a parità di salario, come la conciliazione vita lavoro che non deve restare un semplice annuncio ma deve indicare che è il lavoro a doversi adeguare alla vita e non il contrario. L’importanza delle regole del gioco sono fondamentali, all’interno di questa dinamica delle nuove forme di lavoro, per evitare di abbassare il costo del lavoro e trasformare il lavoratore in un collaboratore pagato a cottimo su cui scaricare il mancato raggiungimento degli obbiettivi.

Con la sottoscrizione nella notte tra il 4/5 agosto ’20 del “Nuovo modello lavoro agile” si consolida transitoriamente quanto testato in questi mesi di smart working “forzato”, fino al ripristino della disciplina ordinaria sul lavoro agile (post emergenza Covid-19) e sperimentale fino al 31 dicembre 2021.

A regime, terminata la fase emergenziale, saranno previste 2 modalità di lavoro, definite “lavoro agile giornaliero” (2 giorni da casa e 3 da sede con la possibilità di ulteriori 12 giorni annui, nella misura di massimo 1 giorno aggiuntivo a settimana) e “lavoro agile settimanale” (una settimana da casa ed una da sede aziendale), legando la prestazione lavorativa a diversi gradi di autonomia e per obiettivi.

Quanto stipulato è assolutamente in linea con quanto sottoscritto il 30 luglio tra Assotelecomunicazioni (ASSTEL) e SLCCGIL, FISTELCISL e UILCOMUIL nel protocollo “Principi e linee Guida per il nuovo lavoro agile nella Filiera delle Telecomunicazioni”. Nel suddetto protocollo è stata definita la cornice entro cui sarà possibile agire per la sottoscrizione di specifici accordi e nella contrattazione di secondo livello, ovvero compatibilmente al modello organizzativo vigente in TIM in termini di efficienza e produttività.

Nonostante venga ambiguamente spacciato come un vantaggio per i lavoratori per migliorare le condizioni di lavoro e di vita, Confindustria vede nello “smart working” l’opportunità per una riduzione dei costi, una maggiore elasticità lavorativa per generare valore per le imprese, in termini di produttività e prestazione lavorativa.

Per noi di USB, quando si scrivono le regole, è necessario essere coscienti delle conseguenze su chi li subisce, considerato che stiamo attraversando un passaggio storico di pesante cambiamento delle modalità di lavoro, al pari della rivoluzione industriale dell’80.

Con la digitalizzazione infatti si delineano differenti processi lavorativi, nuove regole, procedure, metriche cognitive, che sono capaci di controllare\disciplinare i comportamenti del lavoro e che attraverso la forma del lavoro agile impatterà soprattutto sulle posizioni impiegatizie, di concetto, di progettazione.

Se è vero che lavoratore in “smart working” è più produttivo, questa maggiore produttività potrà trasformarsi,  come abbiamo visto sempre succedere in esuberi (disoccupazione), che non sono mai stati assorbiti e che scaraventati sul mercato del lavoro, saranno costretti ad accettare condizioni sempre più precarie, oltre che pressare sugli occupati sempre più sfruttati.

L’introduzione del nuovo modello di lavoro agile, pone inoltre la questione del peso della contrattazione individuale rispetto alla contrattazione collettiva e quindi dell'aumento della discrezionalità e del potere di controllo da parte padronale e il relativo incremento delle disuguaglianze e della frammentazione a partire dall’accesso e/o dal diniego a determinate attività e mansioni.

Sullo sfondo non bisogna dimenticare la dematerializzazione del luogo di lavoro con tutto ciò che comporta in termini di socialità, comunicazione tra compagni di lavoro, e aumento delle precondizioni del mobbing, ostacoli all’attività sindacale, riconoscimento delle responsabilità sul piano della salute e sicurezza e la “porosità temporale” (tempo di vita e tempo di lavoro) all'interno della giornata lavorativa del lavoratore.

Secondo noi la questione del diritto alla disconnessione effettiva rimane totalmente aperta sia in termini formali che sostanziale, vista la forte spinta culturale ideologica e partecipativa dei lavoratori nel ciclo produttivo in essere, come lavoratori/manager che gli stessi datori di lavoro definiscono “imprenditivi”, ossia inseriti nella “gestione” di parti e processi.

Praticamente una falsa coscienza di auto-imprenditorialità per mascherare il nuovo lavoro a cottimo come modello lavorativo totalmente slegato alla misura temporale (orario di lavoro).

È evidente come lo smart working rientri nelle modalità di impiego delle nuove tecnologie in cui si gioca la competizione tra aziende, per ottenere l’ottimizzazione dei tempi lavorativi, l’estensione della giornata lavorativa (flessibilità-dilatazione oraria della prestazione), la riduzione dei costi gestionali, l’abbassamento dei salari, la frammentazione della forza lavoro.

Oltre ai regolamenti e agli accordi, è necessario predisporre un’adeguata policy sull’uso degli strumenti informatici e sulle modalità di controllo a distanza, nel rispetto delle previsioni dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori.

Nell’epoca del virtuale, della società liquida dello smart working, in cui si è potenzialmente realizzata la forma più sottile di deportazione celebrale, il rischio che si corre è quello di costruire dei "smart lager".

Occorre quindi che:

  • L’adesione sia una scelta e non un obbligo per il lavoratore, soddisfacendo le richieste di chi vuol usufruire di tale modalità lavorativa, in particolare lavoratori fragili e i pendolari, considerato che il progetto Desk Sharing rischia di limitare fortemente la scelta di sedi satellite ed al contempo garantendo chi vuol rientrare in presenza e di farlo in sicurezza;
  • Riconoscimento dei buoni pasto per il pregresso;
  • Eliminazione timbratura in postazione;
  • Riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario a 36 ore full time settimanali per gestire l’avvento della digitalizzazione (Industria 4.0);
  • NO alla discrezionalità del controllo individuale della prestazione lavorativa;
  • La strumentazione e i costi “fissi” siano sempre e solo a carico del datore di lavoro. Non solo i costi relativi all’utenze ma anche tutti quelli a garantire il diritto alla salute ed alla sicurezza in un ambiente, quello di casa, che va messo in sicurezza (schermi, sedie, scrivanie);
  • La regolamentazione dell'orario di lavoro insmart working” non può determinare un mutamento della natura della prestazione lavorativa spingendo sull’acceleratore del lavoro per obbiettivi al pari del cottimo. La prestazione lavorativa deve essere agganciata e commisurata all'orario di lavoro anche se questo assumerà articolazioni differenti rispetto al lavoro in presenza. Quindi non si tratta solo di garantire il sacrosanto diritto alla disconnessione ma di garantire che non si determini un surrettizio aumento dell’orario di lavoro;
  • Garantire che l’utilizzo della tecnologia tuteli dell’orario di lavoro: il rispetto delle pause dovrebbe essere garantito e prevedere il controllo medico periodico come i videoterminalisti;
  • Prevedere tutele assicurative specifiche per infortuni o danni in cui dovessero incorrere i dipendenti o beni privati del dipendente a causa del malfunzionamento o carenza di manutenzione delle apparecchiature fornite dall'azienda;
  • Piano formativo non solo generica ma mirata per le specifiche attività svolte dal lavoratore, con particolare riferimento alla sicurezza informatica delle apparecchiature in uso ed alla gestione dei dati aziendali e alla privacy;

Le imprese lo vogliono usare per aumentare la produttività e abbassare le tutele e i diritti, la vicenda dei buoni pasto lo dimostra, unitamente al pericolo di costruire una modalità di lavoro penalizzante e alienante.

I lavoratori lo vogliono per ridurre l’orario di lavoro a parità di salario, come la conciliazione vita lavoro che non deve restare un semplice annuncio ma deve indicare che è il lavoro a doversi adeguare alla vita e non il contrario.

L’importanza delle regole del gioco sono fondamentali, all’interno di questa dinamica delle nuove forme di lavoro, per evitare di abbassare il costo del lavoro e trasformare il lavoratore in un collaboratore pagato a cottimo su cui scaricare il mancato raggiungimento degli obbiettivi.

Questa è la battaglia di oggi sulla tecnologia

Tutto il resto sono discussioni da salotto