Lo scorso 20 maggio si sono celebrati i 50 anni dello Statuto dei Lavoratori, quella preziosa conquista che ci ha consentito di difendere i nostri diritti sul luogo di lavoro, anche se negli ultimi anni si è assistito ad un brusco arretramento sul fronte delle tutele, terreno continuamente eroso da offensive governative e dagli attacchi dei datori di lavoro, con la pelosa complicità di certe organizzazioni sindacali.
Ogni piccola trasformazione nella sfera del servizio pubblico, o in generale nell’organizzazione del lavoro, diventa un pretesto per sottrarre diritti ai lavoratori e lo si vede anche e soprattutto nel pubblico impiego, dove il rapporto di lavoro del dipendente pubblico assume sempre più inesorabilmente i peggiori caratteri del contratto di lavoro del settore privato, in un’assurda asta al ribasso.
Anche l’emergenza Covid-19 si è trasformata in un pretesto per legittimare misure che limitano diritti ed erodono tutele contrattuali ed in prospettiva, si minacciano interventi volti a modificare profondamente la natura del lavoro nel pubblico impiego, che viaggia sempre più verso il lavoro a cottimo con misurazione della performance come nelle aziende private.
All’inizio di marzo, quando il rischio contagio imperversava, come USB abbiamo ritenuto, di comune accordo con le altre sigle sindacali presenti in Ateneo, che in quel momento la priorità fosse tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, e quindi abbiamo chiesto che fosse data a tutti i lavoratori dell’Ateneo la possibilità di lavorare da remoto.
Con il DPCM del 1° marzo 2020 il Governo ha definito le misure per contenere la diffusione del coronavirus, intervenendo anche sulle modalità di accesso allo smart working (o lavoro agile).
La nostra Amministrazione ha adottato una forma ibrida, a metà fra smartworking e telelavoro, denominato LAE, cioè Lavoro Agile Emergenziale, una modalità che prevede che il lavoratore non goda della flessibilità di spostamento fra casa ed ufficio tipica dello smart working e che in più utilizzi le sue strumentazioni e la sua casa come se fosse un ufficio.
Nello smart working (o lavoro agile) disegnato dalla L.81/2017 si prevede, invece, una certa flessibilità sia rispetto all’orario di lavoro che al luogo di lavoro (ufficio, casa o altra situazione logistica), un accordo tra le parti e strumenti messi a disposizione dal datore di lavoro, mentre il lavoro agile emergenziale mantiene generalmente la linea oraria del lavoro in presenza, si svolge tendenzialmente a casa (un po’ come nel telelavoro) e prevede che si continui a svolgere lo stesso lavoro dell'ufficio, laddove possibile, contrariamente allo smart working, il quale viene svolto con riferimento al raggiungimento di risultati predeterminati (a cottimo).
L’Amministrazione fino al recente accordo, ha negato il buono pasto ai lavoratori in LAE, sostenendo che lavorando da casa non se ne ha diritto, peccato che in altri atenei ed in altri enti della PA continuino ad essere riconosciuti; di recente anche l’INPS ha deciso di erogarli retroattivamente.
Su tutti questi punti, come il diritto alla disconnessione, ci siamo espressi più volte negli incontri sindacali con l’Amministrazione, ribadendo come la situazione emergenziale non debba ledere oltremodo i diritti del personale TA dell’Ateneo, che già sta mostrando di sopperire con grande spirito di abnegazione ai carichi di lavoro ancor più pesanti nella fase di emergenza, per via dei vincoli dettati dal lavoro da casa.
Durante il suo mandato, il Magnifico Rettore si è rivolto al personale augurandosi che l’Ateneo diventasse come una casa per chi ci lavora. Adesso invece, sembra piuttosto che l’Amministrazione voglia fare delle nostre case i suoi uffici!
Un aspetto peculiare del LAE in Ateneo è che, pur essendo sostanzialmente la modalità di lavoro ordinaria ed obbligatoria quasi per tutti, non viene disposta dall’alto, ma in un perverso gioco quasi sado-maso deve essere richiesto dal lavoratore ed autorizzato dall’Amministrazione. E badate, la compilazione della richiesta sul modulo online è un obbligo, non una possibilità, perché in caso non si proceda all’invio della richiesta, pur continuando a lavorare in LAE, l’assenza verrà considerata ingiustificata e come tale passibile di richiamo.
Quindi non c’è di fatto nessun accordo, perché non c’è libertà di una delle parti. Dicono che ciò dipenda da una tecnicalità legata all’inserimento automatico del codice Tempus per il LAE, ma di fatto costringe i lavoratori non solo a questa modalità, ma anche agli impegni che ci si assume dichiarandoli in modo “blindato” nel testo del modulo, come il rispetto delle norme in materia di protezione dei dati personali, sulla sicurezza dei luoghi di lavoro e della conformità delle attrezzature alle normative vigenti.
Avevamo chiesto all’Amministrazione che ottemperasse alle indicazioni della Circolare n.2/2020 del Ministero della Funzione Pubblica, nella quale si precisava che per il lavoro agile le PA devono prevedere “modalità semplificate e temporanee di accesso alla misura, escludendo appesantimenti amministrativi e favorendo la celerità dell’autorizzazione (ad. es. ricorso a scambio di mail con il dipendente per il riconoscimento dello smart working piuttosto che predisposizione di moduli da compilare o adozione di provvedimenti amministrativi).” ma non siamo stati ascoltati.
Ora, nell’incontro del 12/06/20, l’Amministrazione ha informato le parti sindacali che considera ormai superata la fase emergenziale e che intende avviare lo smart working propriamente detto, confortata dai risultati del questionario somministrato al personale in aprile. Pertanto partirà a settembre una sperimentazione che coinvolgerà 4 strutture: APOS, DIRI, DISTAL e DSG su obiettivi da raggiungere in smart working da parte del lavoratore ed un sistema di monitoraggio conseguente. A detta della dirigente APOS, occorre accelerare i tempi, per aggiornare il sistema della valutazione della performance, in modo da partire con lo smart working nel 2021.
Ricordiamo anche che l’Amministrazione sta progressivamente adottando un sistema di valutazione per legare la valutazione individuale all’erogazione di fondi del salario accessorio.
Questi scenari ci inducono forti preoccupazioni, la cottimizzazione è la fine del lavoro, la fine del contratto del pubblico impiego, almeno così come disegnato dalla nostra Costituzione, che vede il dipendente pubblico come garante delle procedure della PA sulla base dei principi di buon andamento ed imparzialità, anziché schiavo dei virus della flessibilità e della performance produttiva.
Siamo convinti che la famosa Fase 2 non rappresenti la fine della pandemia e per questo chiediamo con forza che la riapertura dei servizi e delle strutture venga fatta con grande responsabilità, senza generalizzazione o superficialità.
Riteniamo che il lavoro agile abbia offerto la possibilità di garantire la sicurezza dei lavoratori e della comunità accademica e che possa essere una soluzione al fine di conciliare il lavoro con la vita personale e/o esigenze familiari, se scelto volontariamente. Ne vediamo, invece, le molte criticità se calato dall’alto, senza tutele per il lavoratore, se connesso ad obiettivi stabiliti dirigisticamente e discrezionalmente, senza la partecipazione attiva dei lavoratori, senza rigide garanzie in tema di disconnessione, valutazione individuale, possibilità di carriera e formazione.
Noi, rappresentanti sindacali di USB in Ateneo, vigileremo affinché non ci sia alcun abuso dell’Amministrazione rispetto al ricorso al LAE ed allo smart working, ma proprio a tal fine vi chiediamo di aiutarci in questo compito inviandoci, all’e-mail riportata sotto, le vostre segnalazioni rispetto a criticità che avete registrato o state registrando durante l’attività di lavoro agile emergenziale, in modo da raccoglierle e trasformarle in interventi a tutela dei lavoratori di UNIBO: bologna.universita@usb.it
USB – UNIVERSITA’ DI BOLOGNA