L’8, 9 e 10 maggio 2010 con un Congresso costituente nasce l’Unione Sindacale di Base, forte della convergenza politica e organizzativa sostanzialmente di RdB e SdL Intercategoriale più alcuni spezzoni della CUB da cui proveniva sia RdB che, fino a qualche anno prima, il SULTA che poi confluì in SdL. Dieci anni, difficili e entusiasmanti al tempo stesso, che vogliamo ricordare e su cui riflettere assieme a tutti coloro che hanno condiviso la nostra impresa e la nostra scommessa. Ricordarli perché sono accadute tante cose, e tanti momenti importanti della vita politica e sindacale del Paese ci hanno visti protagonisti, rifletterci su per capire quali sono ancora oggi i nostri limiti e per capire come far meglio sindacato, analizzando e studiando la complessa situazione dell’oggi e come quindi adeguare la nostra azione e le nostre attività alle esigenze in continuo cambiamento, evitiamo di chiamarla evoluzione, che la società ci propone. Nel periodo trascorso abbiamo anche trasformato la nostra organizzazione, è nata la Federazione del Sociale, che si è andata ad affiancare alle due organizzazioni “storiche” USB Pubblico Impiego e USB Lavoro Privato, per intercettare tutti quei lavoratori, figli della riorganizzazione produttiva e dell’avanzare delle disuguaglianze, che non hanno una vita lavorativa classica e che non incontrano il sindacato quando hanno da affrontare e risolvere i propri bisogni o la propria condizione sociale, ad esempio in relazione al diritto al reddito o all’abitare. Abbiamo aperto fronti importanti di lotta e concluso con successo vertenze che ci vedevano impegnati da anni come quella degli ex LSU ATA; siamo diventati un punto di riferimento e di organizzazione per migliaia di braccianti e di lavoratori della logistica, per la gran parte migranti. Siamo da anni protagonisti delle più importanti vertenze nazionali dall’Ilva all’Alitalia passando per il rilancio del conflitto in centinaia di aziende industriali e del commercio. Abbiamo condotto in splendida solitudine la battaglia contro il precariato nella pubblica amministrazione costringendo il governo ad aprire alla stabilizzazione di migliaia di precari, a partire dalla ricerca. Molto altro potremmo ricordare di fatti e vertenze importanti che ci hanno visto protagonisti, ma quello che più ci interessa ricordare ed analizzare è la unicità della nostra esperienza nel variegato mondo del sindacalismo complessivamente inteso. Non siamo il classico sindacato “basista”, senza organizzazione e senza struttura unitaria politica e di elaborazione, non siamo un sindacato complice prono ai diktat del capitale e dell’Unione Europea, non siamo un sindacato autonomo pronto a piegare i propri comportamenti e la propria identità al cambio di vento politico o agli umori popolari. Abbiamo scelto di essere un sindacato di classe, internazionalista, antifascista, anticapitalista e indipendente che lavora per essere sempre più sindacato di massa, che si pone l’obbiettivo della difesa dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici e della trasformazione sociale.
L’aver scelto di incrociare consapevolmente il movimento delle donne e quello per l’ambiente danno anche il segno della consapevolezza di tutta USB che l’azione del sindacato non può fermarsi ai luoghi di lavoro ma deve essere capace di interpretare il proprio ruolo nelle diverse contraddizioni presenti. Se ovviamente siamo soddisfatti della nostra crescita e della nostra iniziativa, la condizione politica e sociale in cui versa il nostro blocco sociale di riferimento rischia di limitare fortemente la nostra azione e la nostra penetrazione nelle fabbriche, negli uffici, nei quartieri. Un blocco sociale composto da lavoratrici e lavoratori che subiscono la scomparsa di riferimenti politici di massa, che sono preda della devastazione culturale in atto, di quell’egoismo sociale profuso a piene mani da chi li vuole succubi e silenziosi e che li getta in un’entropia sempre più evidente. C’è quindi la necessità di un sindacato che non solo abbia una forte identità collettiva legata ai nostri principi fondanti, ma che sia fatto di militanti, capaci di affrontare le sfide anche di natura culturale e ideologica che ci si stanno già proponendo, che non si lascino attrarre dai facili approdi dell’aziendalismo e del corporativismo di categoria o di territorio per rilanciare con forza l’idea alta di una confederalità non semplicemente dichiarata ma fortemente praticata.