Martedì prossimo sarà l’8 marzo e anche se non ci sono riscontri certi sull’origine della scelta di questa data presa a simbolo per festeggiare il giorno della donna si sa di sicuro che il 25.03.1911 ci fu uno sciopero a New York e decine di migliaia di camiciaie (circa 26 mila) manifestarono per le strade della città e pochi giorni dopo una fabbrica tessile di NY (TRIANGLE) prese fuoco e nell’incendio morirono 146 lavoratori di cui 123 donne - per lo più immigrate di origine italiana - e 23 uomini.
Ricordiamo questo non per fare della facile retorica su una data celebrativa ormai in larga parte svuotata di significato ma per fare una considerazione: nella seconda metà del ‘900 le lotte operaie in molte parti del mondo occidentale, inclusa l’Italia, hanno prodotto dei grandi cambiamenti migliorando le condizioni di lavoro di milioni di persone attraverso norme e leggi che le camiciaie di NY neppure si sognavano. Adesso, con l’avanzata universale del liberismo, la globalizzazione capitalista, la finanziarizzazione dell’economia, il tutto aggravato da una crisi economica considerata da molti strutturale nata proprio negli USA, si sta a grandi passi tornando indietro. Purtroppo questo è avvenuto, è potuto avvenire, soprattutto da noi, senza grandi intoppi grazie anche ai cedimenti continui delle centrali sindacali, spinte - a voler pensare bene - dalla volontà di riduzione dei danni ritenuti inevitabili ma al contempo controllabili, e che volenti o nolenti hanno invece, come era prevedibile, collaborato attivamente con la classe padronale nell’abbattimento delle conquiste ottenute attraverso lotte e sacrifici e trasformando lo stato sociale, da un sistema universalistico in una specie di Supermarket dei bisogni individuali a cui offrire risposte singole, parcellizzate, secondo il disegno ben descritto nel libro bianco dell’ex ministro del lavoro Sacconi quando era al vertice del dicastero.
Nel corso degli anni/decenni noi impiegate/i del Ministero del Lavoro abbiamo visto lo stesso perdere via via funzioni istituzionali fondamentali, le politiche attive del lavoro passate in gran parte ai privati con le agenzie interinali, fino ad arrivare oggi alla costituzione delle due Agenzie vigilate dal Ministero del Lavoro (e del resto almeno sulla carta lo sono anche le agenzie private di collocamento, cresciute negli anni come funghi senza in verità alcun controllo), ma le cui funzioni non sono più di competenza del Ministero del Lavoro che resta però in vita come un solitario grande apparato burocratico statale, ma per fare cosa? Noi pensiamo che il compito prioritario di tale apparato sia quello di esercitare un forte controllo affinché sia garantito da parte di tutti i soggetti operanti nelle Agenzie il rigido rispetto degli ordini - eufemisticamente definiti linee guida - provenienti direttamente dal potere esecutivo come del resto già avviene oggi. Gli ispettori del lavoro sanno bene, almeno dal 2009, come l’organizzazione del lavoro all’interno degli uffici territoriali li abbia di fatto blindati. Conoscono i continui richiami sul carattere vincolante di circolari, note interpretative, lettere circolari, risposte ad interpelli e così via provenienti dalla DGAI a cui si attribuisce valore di legge ed il controllo che viene esercitato sull’attività del singolo ispettore. Non c’è stata ribellione, al contrario troppa assuefazione: gli ispettori vengono impegnati a scovare il lavoro nero di giorno di notte e nei festivi, non c’è tempo per ispezioni più approfondite, bisogna fare in fretta, aprire e chiudere le pratiche, e in questa frenetica attività spesso vengono impegnati anche gli ispettori della vigilanza tecnica: per controllare il rispetto delle norme sulla sicurezza? Neanche per sogno, per incrementare le unità ispettive nella lotta al nero spesso intendendo per “nero” proprio l’immigrato titolare di ditte inserite nel settore del commercio della frutta & simili. La chiamano “vigilanza etnica” ed è utilissima per produrre i numeri. Anche in questo caso il ruolo dei sindacati è stato fondamentale, hanno preso al balzo la norma che ha incrementato l’entità delle sanzioni amministrative per il lavoro sommerso, destinandone una parte al fondo per gli ispettori e così facendo hanno messo un bel coperchio sulle giuste rivendicazioni che, lo ricordiamo, non erano solo di carattere economico ma anche legate alla sicurezza degli ispettori in fase di accesso ispettivo. Le percentuali decrescenti che vengono assegnate nei singoli uffici a seconda si tratti di attività svolte di notte, nei giorni festivi o di sabato, penalizzano proprio le donne spesso impossibilitate ad uscire di notte e nei giorni festivi per tanti motivi legati al genere, inclusa l’attività di cura dei figli, della casa, dei parenti anziani o ammalati di cui si fanno carico in via esclusiva. Perché, si chiedono in molte, alla vigilanza diurna svolta di sabato (più accessibile alle donne) vengono attribuite le percentuali più basse? Anche questo è un segno di sessismo e come sappiamo bene ce ne sono molti altri dentro e fuori i nostri uffici, quindi, per favore, l’8 marzo, dirigenti, sindacalisti, colleghi maschi, non portate mimose alle donne e non fate loro gli “auguri”.
Ribadiamo comunque la nostra assoluta contrarietà, come USB, alla spartizione di soldi provenienti da una norma che, nella sua applicazione pratica, costringe gli ispettori di entrambi i sessi ad esercitare una funzione molto diversa da quella “storica”. Non era certo per questo risultato che, ormai molti mesi fa, ci siamo seduti al tavolo con l’Amministrazione e le altre OO.SS. per ridefinire l’orario di lavoro del personale ispettivo.
USB/Coordinamento Nazionale Ministero del Lavoro e P. S.