Come ormai da un paio d’anni, il governo Meloni torna ad usare toni trionfalistici per i numeri pubblicati dall’ISTAT sul nuovo record di occupazione registrato in Italia. Ma il numero crescente di occupati stride in modo sempre più clamoroso con gli zero virgola del PIL (quest’anno siamo a + 0,6% e l’anno scorso appena a + 0,7%), che testimoniano di un paese che non cresce. Come è possibile che ci siano 224mila occupati in più in un paese stagnante e con una industria al 32°mese consecutivo di calo della produzione?
A questa domanda ha già da tempo risposto l’Osservatorio per i Conti Pubblici Italiani CPI dell’Università Cattolica, dimostrando che l’aumento dell’occupazione è dovuto per i 3/4 a lavoratori impiegati in settori a bassa produttività, dove le retribuzioni sono più basse e dove si concentra un alto numero di lavoratori marginali. Su 100 nuovi occupati, infatti, 42 appartengono al commercio, 19 alla pubblica amministrazione e 14 alle costruzioni, mentre appena 10 riguardano la manifattura e solo 2 il settore dell’energia.
C’è poi una forte crescita del part-time che già nel 2023 aveva raggiunto la ragguardevole cifra di 4 milioni e 300mila lavoratori, cioè il 18% degli occupati. Quando il governo afferma che sono in crescita i lavoratori a tempo indeterminato, omette di ricordare l’aumento dei part-time, che sono in gran parte involontari, e che certificano un’occupazione povera. Va inoltre ricordato che i lavoratori a termine, sia pure in diminuzione, sono comunque 2 milioni e 514mila e che si registra anche un aumento degli autonomi (più di 5 milioni) di cui una forte percentuale è costituita da lavoro dipendente camuffato, senza responsabilità per le aziende e a bassa retribuzione.
Inoltre è utile considerare che dal 2023 anche i cassaintegrati per meno di 3 mesi vengono conteggiati dall’ISTAT come lavoratori e che la gran parte dei cassaintegrati rientra proprio in questa casistica.
E infine, bisogna tenere conto che una buona fetta della nuova occupazione è costituita da lavoratori over 50 e over 60, che prolungano la loro vita lavorativa sia perchè si sta alzando l’età pensionabile e sia perchè le pensioni sono così basse da comportare la necessità di mantenersi il più possibile in attività. I giovani, invece, sono l’unica classe d’età (quella tra i 25 e i 34 anni) che nell’aumento dell’occupazione vedono diminuire la loro partecipazione al lavoro.
La conclusione è desolante: gli occupati aumentano perchè le retribuzioni sono basse, sempre più persone in età avanzata continuano a lavorare e moltissimi lavorano solo part time. L’aumento del numero degli occupati camuffa e occulta l’impoverimento crescente del paese. Al governo Meloni dobbiamo continuare a gridare che non è il momento di dare i numeri, di smetterla di investire in armamenti e di dedicarsi al rilancio economico dei salari, dei consumi e dell’economia pubblica.