AGGRESSIONE A UNA COLLEGA DI SALERNO: SOLIDARIETÀ E RIFLESSIONE
(18/24) Venerdì scorso si è verificato un altro episodio di aggressione ai danni dei dipendenti INPS. Una lavoratrice della sede di Salerno ha dovuto fronteggiare le minacce di una signora armata di coltello e intenzionata ad incendiare delle carte.
Alla collega va un grande abbraccio e la solidarietà di tutta la USB INPS.
È di Gennaio l’aggressione ai colleghi del CML a L’Aquila, di Novembre quella del Tuscolano a Roma, per non parlare del clima incandescente registrato dopo l’abolizione del Reddito di Cittadinanza e nel periodo più intenso della pandemia. Ognuno di questi episodi trova la nostra condanna e vicinanza ai colleghi e alle colleghe coinvolti. Dobbiamo attenderne altri prima che l’INPS riconosca il servizio di sorveglianza tra le forniture indispensabili di tutte le sedi?
Se non ci fermiamo qui, in posizione morale di sicurezza, e proviamo a dare un’occhiata un po’ più in là, ci rendiamo conto che l’utenza ci restituisce quell’odio sociale frutto di lunghe campagne denigratorie del dipendente pubblico. Ma come mai queste campagne hanno avuto così tanto successo? Certamente il bombardamento mediatico ha fatto un gran lavoro, ma è poca cosa rispetto al vero ingrediente: la questione sociale. La povertà, cronica e in aumento, le difficoltà del vivere quotidiano per i redditi bassi ma anche per quelli medi, sono il terreno fertile su cui quelle campagne crescono con facilità. Il messaggio è chiaro: se le cose non ti vanno bene, la colpa è dei dipendenti pubblici che non vogliono lavorare. Non solo. Una tale rappresentazione è imparentata con una più generale narrazione che riguarda tutto il mondo del lavoro. Le politiche per l’occupazione, infatti, sono imperniate sull’assunto che il disoccupato non trova lavoro perché non si impegna abbastanza o addirittura preferisce stare sul divano; per non parlare dello scandalo di chi, durante il colloquio per l’assunzione, si azzarda a chiedere l’importo del salario. Nel nostro ambiente, le stesse stronzate le ritroviamo nell’organizzazione del lavoro, dal sistema delle performance alle pagelline, dalla tassa sulla malattia al QR code di controllo nel lavoro da remoto. Al fondo si trova sempre il teorema secondo cui chi lavora è un profondo peccatore, portatore di una attitudine maniacale a fregare il suo capo o il padrone. È bene, allora, dotarsi di strumenti validi per arginare le brame di malaffare e pigrizia che ingorgano i pensieri del lavoratore. Da qui viene il carattere punitivo del welfare, sospettoso e cavilloso con ultimi e penultimi eppure generoso dove c’è abbondanza.
Fa parte tutto di una narrazione tossica utile, tra l’altro, a far scannare tra loro le vittime di questo sistema.
La sfida è ribaltare tutto e costruire un’alleanza sociale tra i lavoratori pubblici e tutto il ventaglio d’utenza, che rappresenti le reali matrici della questione sociale. Le lavoratrici ed i lavoratori dell’INPS hanno il vantaggio di avere il polso dello stato sociale e, per questo, possono a pieno titolo fare la loro parte nel promuovere questo nuovo sentiero di lotta. Per cominciare a maturare queste consapevolezze possiamo partire dalle nostre battaglie, dai salari più alti alla settimana corta a parità di salario, dal diritto allo smart working all’abolizione delle pagelline, dall’aumento del buono pasto all’abolizione della tassa sulla malattia.
Quando l’utenza capirà che è la legge a bistrattarla e non il lavoratore che l’accoglie allo sportello, quando le nostre mani si stringeranno, quando tutto il mondo del lavoro marcerà compatto, allora si andrà molto avanti.