Fim, Fiom, Uilm e Failms si arrogano il diritto di rappresentare i lavoratori, ma quando arriva il momento di esercitare quella rappresentanza scelgono la strada più comoda: non presentarsi al tavolo. Così la cassa integrazione e le ragioni stesse del mancato accordo finiscono in cavalleria.
La rabbia dei lavoratori è tanta, ed è giustificata. Da mesi assistiamo a un gioco abietto: si impedisce a USB di sedere ai tavoli istituzionali, nonostante sia ormai l’organizzazione più rappresentativa nello stabilimento di Marcianise per numero di iscritti. Nonostante una raccolta firme a maggioranza che chiedeva le dimissioni della RSU Fim-Fiom-Uilm-Failms e dove invece nessuno si è dimesso. L’unico a farlo, per rabbia e coerenza, ha scelto di aderire a USB.
Il risultato è che chi si ostina a monopolizzare la rappresentanza, quando si tratta di assumersi la responsabilità di difendere davvero le maestranze, non si presenta ad un incontro che avrebbe potuto segnare un passaggio importante della vertenza. Una responsabilità gravissima sul piano formale, che pesa tutta sulle spalle di chi non si è presentato.
Le assemblee degli scorsi giorni – a cui hanno partecipato anche le RSU di quelle stesse organizzazioni – avevano deciso chiaramente: al tavolo regionale bisognava sancire il mancato accordo, scrivendo nero su bianco tutte le ragioni di quel rifiuto. Nulla di tutto questo è accaduto. Ora resta solo la certezza che la CIGS sarà con ogni probabilità concessa dal Ministero del Lavoro, senza alcuna motivazione ufficiale che giustifichi un approfondimento o apra a un vero confronto nazionale.
Eppure, proprio quel confronto serviva per smascherare le debolezze dell’operazione industriale TMA:
- il paradosso per cui una multinazionale con risorse globali dichiara il sito insostenibile, mentre una PMI come TME pretende di rilanciarlo con numeri di crescita irrealistici, con promessa di saturare gli impianti in tre anni basandosi su margini risicatissimi;
- un piano che poggia più sulla cassa integrazione che su un vero rilancio produttivo, prevedendo anni di CIGS a rotazione;
- nel conferimento non c’è traccia di alcun passaggio formale dei contratti con i clienti Jabil, quando invece era la “continuità dei clienti” la condizione dichiarata per il rilancio;
- Invitalia non ha mai formalizzato, con verbali ufficiali, il suo ingresso nella compagine di TMA, nonostante al 1° agosto 2025 la società avrebbe dovuto essere composta da TME e Invitalia secondo i piani ministeriali;
- la perizia di stima allegata al conferimento valuta l’intero sito – immobili, impianti e avviamento – appena 10.000 euro nei prossimi tre anni: un valore ridicolo e che non rispecchierebbe la realtà nemmeno in caso di abbattimento dello stabilimento;
- a questo si aggiungono un capitale sociale della Newco di soli 20.000 euro (una vera “scatola vuota”), l’uso massiccio e programmato della CIGS come strumento di sopravvivenza e non di rilancio, un piano basato su previsioni irrealistiche di crescita e la conferma che Jabil si è vincolata a non tornare sul mercato italiano per i prossimi cinque anni.
USB sa che la parte più difficile comincia adesso. Stiamo valutando attentamente tutte le azioni possibili per impedire che i lavoratori vengano lasciati soli davanti a un’operazione fragile e pericolosa. Ma serve il massimo impegno e la massima compattezza: solo la mobilitazione collettiva può rimettere questa vertenza sul binario giusto.
USB Lavoro Privato – Categoria Operaia dell’Industria Nazionale