I salari non reggono il passo con l’inflazione (meno 7% rispetto al 2019 secondo l’OCSE), il governo si appresta a ritoccare (in peggio) il sistema pensionistico, per il cittadino che si ammala è sempre più difficile e costoso riuscire a curarsi e, dulcis in fundo, stiamo entrando nel mercato libero delle forniture energetiche, con tanto di rialzi delle tariffe. Sono questi i crudi nodi economici con i quali si troveranno a fare i conti milioni di persone nel prossimo autunno assieme ai rinnovi di importanti contratti (dai metalmeccanici al trasporto locale e ai settori pubblici) che costituiscono l’unica vera opportunità di recuperare il potere d’acquisto perso in questi anni, e ad alcune grandi vertenze nazionali dove sono in gioco migliaia di posti di lavoro (dall’Ilva a Stellantis).
Intanto il governo Meloni si prepara per l’appuntamento del 20 settembre. In quella data dovrà presentare il Piano strutturale di bilancio, tenendo conto della procedura d’infrazione a cui è sottoposto il nostro Paese per lo sforamento del tetto di bilancio fissato dalle regole della Ue. Nel Piano dovranno esserci le misure che garantiscono il taglio annuale di circa 13 miliardi al bilancio dello Stato per i prossimi sette anni. Non proprio una passeggiata per un governo “allineato e coperto” dentro le direttrici della Ue.
Il governo sa bene che questi mesi saranno abbastanza cruciali per le sue prospettive. All’orizzonte ci sono non solo le elezioni negli Usa e quelle in alcune regioni (Liguria, Umbria ed Emilia), molto meno rilevanti per le sorti mondiali ma significative per la tenuta della coalizione. Ma c’è soprattutto da evitare una ripresa del conflitto sociale dentro un contesto nel quale le condizioni di vita continueranno a peggiorare.
La strategia in campo è abbastanza esplicita. Da un lato sono allo studio misure “specchietto” per salvaguardare consensi nel ceto medio, come il mantenimento dei tagli al cuneo fiscale o l’allargamento fino a 100mila euro della flat tax per il lavoro autonomo. Dall’altro c’è il provvedimento 1660 con il quale si introducono nuovi reati e nuove aggravanti di pena per colpire tutti quelli che avessero voglia di protestare per difendere le proprie condizioni di vita o magari solidarizzare con la Palestina. Il bastone e la carota insomma, anche se la carota rischia di essere molto poco allettante.
E poi ci sono le classiche misure, alle quali siamo abituati da tempo, rivolte a sostenere il famelico mondo delle imprese e delle banche. Intanto un perentorio no a qualsiasi ipotesi di tassazione dei sovrapprofitti, nonostante banche e industrie energetiche abbiano collezionato in questi ultimi anni vantaggi economici clamorosi in un Paese in progressivo impoverimento. Poi nuovi programmi di privatizzazione per Poste, multiutility e ferrovie. E infine ennesime sforbiciate alle spese sempre negli stessi settori, a cominciare dalla sanità.
Qualcuno dice che non sarà una manovra economica lacrime e sangue, ma la verità è che il barile è stato già ampiamente raschiato nel corso di questi anni e che ampie fette di popolazione (e di lavoratori) sono allo stremo. Salari bassi, tanta precarietà, costi crescenti per salute, trasporti e alloggio, e aumento dei prezzi dei generi di prima necessità. Ce ne sarebbe abbastanza per provocare una seria opposizione sociale ma…
Il vero scoglio è l’assenza di una opposizione seria e credibile. Il campo largo o larghissimo, da quando anche Renzi è entrato a farne parte, proprio sui temi sociali ha da tanti anni sostenuto le peggiori controriforme e favorito un generale abbassamento delle condizioni di vita. Confidare nel Pd o nel nuovo asse sindacale cgil-uil per ribaltare questa situazione sarebbe una scelta senza senso: al massimo il campo largo potrà mettere in difficoltà il governo Meloni, ma l’eventuale ribaltone non produrrebbe nessun significativo cambiamento sul piano delle politiche economiche.
E tuttavia il quadro economico che ci aspetta nei prossimi mesi è condizionato da una variabile che nessuno riesce a controllare, che è l’evoluzione sempre più drammatica della situazione internazionale. È proprio lo sviluppo di una crisi che sta coinvolgendo un numero sempre più ampio di paesi e che moltiplica le occasioni di conflitto a produrre effetti indiretti come il riaccendersi dell’inflazione, l’inasprirsi della concorrenza con l’imposizione di sempre nuovi dazi commerciali ed una condizione di instabilità generale. Di fronte a questa variabile, che è destinata a restare la variabile principale della nostra epoca chissà per quanto tempo, né il governo né il campo largo sanno avanzare proposte credibili. Le loro proposte sono sostanzialmente identiche e così sintetizzabili: battere militarmente la Russia e sostenere il diritto a difendersi dello Stato di Israele. Che detto in altri termini, significa avviarsi verso un nuovo conflitto mondiale senza escludere il ricorso al nucleare e rendersi complici del genocidio di Gaza.
I venti di guerra però non ci condizionano soltanto sul piano economico ma creano nel Paese anche un clima ideologico di difesa degli interessi nazionali, di salvaguardia della nostra civiltà, di sostegno all’Occidente che sarebbe impegnato a difendere i valori della democrazia e della libertà su tutto il Pianeta. Dove non arrivano le misure “specchietto”, a costruire il consenso può arrivare la propaganda.
I nodi d’autunno, salari, pensioni, sanità, tariffe, alloggi possono mandare in tilt i piani del governo e rimettere in moto un vasto movimento di opposizione sociale: il conflitto può riportare una ventata di freschezza e di speranza in questo Paese, che sembra senza futuro. La retorica del governo e l’ipocrisia del campo largo sono destinate a venire alla luce davanti alla mobilitazione popolare.
Per realizzare questo programma servono attivisti sociali e sindacali determinati e con le idee chiare. In poche parole, c’è bisogno di noi, care compagne e cari compagni dell’USB.
Unione Sindacale di Base