Si è svolta martedì 20 aprile l'audizione delle parti sociali disposta dalla Commissione Congiunta II (Giustizia) e XI (Lavoro e Previdenza Sociale) del Senato nell’ambito dell’esame dei disegni di legge sulle molestie nei luoghi di lavoro. Se, da una parte, i disegni di legge hanno il merito di intervenire su un fenomeno molto vasto e trasversale, dall’altra, pur inquadrandone correttamente la pervasività attraverso i dati Istat (al 2018 un milione e 404 mila donne hanno subito molestie o ricatti sessuali nel luogo di lavoro), non sembrano però fornire risposte adeguate.
Per parlare di molestie nei luoghi di lavoro bisogna riconoscere, come indicato nella Convenzione di Istanbul, che fanno parte del problema della violenza strutturale sulle donne e di genere e pertanto non possono essere derubricate ad un mero problema di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Così come bisogna riconoscere che le molestie non colpiscono indistintamente ma vengono agite contro le donne e le soggettività Lgbtqia+, anche in ragione della maggiore precarietà e ricattabilità lavorativa.
Da questi imprescindibili presupposti è necessario partire per capire quale sia l’area di applicazione di una legge che muoverebbe i passi a seguito della Convenzione n.190 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Oil) del 21 giugno 2019 nella quale le violenze e le molestie sono quelle che si verificano in occasione di lavoro, in connessione con il lavoro o che scaturiscono dal lavoro, senza limitare dunque l’ambito di azione delle norme al rapporto di lavoro subordinato storicamente inteso.
Un ampliamento importante e necessario del perimetro di cui però non sembra esserci traccia nei disegni di legge oggetto di discussione, nonostante la Convenzione sia stata ratificata dal Parlamento italiano a gennaio di quest’anno.
I disegni di legge parlano a un mondo del lavoro garantito e tutelato, già poco realistico prima della pandemia - fatta parziale eccezione per i lavoratori e le lavoratrici della PA, per questo costantemente sotto attacco con l’accusa di essere privilegiati - ma che oggi con le migliaia di licenziamenti, la maggior parte dei quali colpiscono proprio le donne, rischia di essere anacronistico.
Il mondo del lavoro delle donne è precario, intermittente, povero, senza permesso di soggiorno e non si esaurisce col lavoro retribuito ma si estende a dismisura nel lavoro domestico e di cura gratuito. Da questo punto di vista anche lo smart working, salutato come la rivoluzione del secolo, ha contribuito a normalizzare una condizione di doppio lavoro, senza contare la maggiore esposizione alla violenza domestica, esacerbata dalla mancata possibilità di vie di fuga.
La ricattabilità alla base di questa condizione espone le donne alla violenza e alle molestie sul lavoro, lasciandole senza armi nei confronti dei datori di lavoro. Difficile pensare che una situazione di tale disuguaglianza possa risolversi solo attraverso gli strumenti giuridici e repressivi invocati nei disegni di legge, senza un vero intervento strutturale che riguardi i diritti del mondo del lavoro. Denunciare, all’interno di una condizione di estrema precarietà, per le donne rappresenta nel migliore dei casi la beffa oltre al danno: la beffa di vedersi riconosciuta una ragione per un lavoro che, nel frattempo, non c’è più!
Una donna che decide di affrontare un processo per molestie non può trovarsi davanti gli ostacoli di oneri probatori impossibili, dei tempi lunghi del processo e del costo della causa.
Sarebbe necessario prevedere il patrocinio a spese dello Stato mentre, manco a dirlo, tutti i disegni di legge sono a costo zero. E occorre pensare ad interventi che mettano al centro la lavoratrice non come soggetto a cui fare la radiografia morale delle abitudini personali o destinataria di mera protezione, ma come parte attiva portatrice di diritti.
L’autonomia economica è una delle basi sulle quali poggia l’autodeterminazione delle donne e la possibilità di fuoriuscita dalla violenza, a condizione che il lavoro sia tutelato e garantito. Le leggi sono importanti laddove, riconoscendole, sanno porgere argini alle disuguaglianze e avanzano sul fronte dei diritti. Legiferare sull’inesistente, proponendo l’impossibile, ci sembra un esercizio di stile inutile e dannoso.
Unione Sindacale di Base
21-4-2021