Icona Facebook Icona Twitter Icona Instagram Icona Telegram Icona Youtube Icona Rss

Scuola Studenti Docenti ATA

Coronavirus: lo Stato di Emergenza mette le mani sulla scuola

Nazionale,

Il decreto del 4 marzo 2020 “Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull'intero territorio nazionale (20A01475)” riporta molti provvedimenti volti ad affrontare l’emergenza Coronavirus, alcuni dei quali sono discutibili e contraddittori, ma soprattutto sollevano questioni importanti e cruciali per il mondo della scuola
Abbiamo già scritto quanto sia assurdo che le attività didattiche siano sospese, ma le scuole aperte. Ciò crea discriminazione tra lavoratori, ATA e docenti, e fa schiettamente pensare che il punto non sia tanto la tutela dei lavoratori (oltre che degli studenti, chiaramente), ma dimostrare che nella Pubblica Amministrazione si lavora e non si è fannulloni. Ecco, noi rifiutiamo questa logica e questa visione del nostro lavoro. I docenti, come il personale ATA, vorrebbero essere a scuola con gli studenti, ma se il Governo ritiene che l’emergenza sia tale da chiudere le scuole di ogni ordine e grado in tutto il paese, sia coerente con le proprie decisioni e vada fino in fondo. Lo diciamo nella consapevolezza di non avere gli strumenti scientifici per giudicare in alcun modo l’opportunità di questa decisione.
In secondo luogo, al punto g) dell’ordinanza viene concesso ai Dirigenti Scolastici di disporre la didattica a distanza, senza acquisire il parere del Collegio Docenti. Questa indicazione viola il CCNL e il Testo Unico, svuotando il Collegio della sua funzione decisionale in materia di didattica. Ci si dirà che è una situazione di emergenza, che non si possono convocare i collegi docenti per questioni di affollamento. Certo, allora però è necessario che le scuole abbiano realmente gli strumenti per affrontare la situazione e che le indicazioni del MIUR siano decisamente più dettagliate e meno autoritarie.
La didattica a distanza, sia chiaro, è una extrema ratio, che non può in alcun modo sostituire quella in presenza. Può tamponare una situazione per un breve periodo, ma non risolvere l’emergenza. Tanto meno possiamo immaginare che tale soluzione possa divenire istituzionale nel futuro: fare scuola è stare con gli studenti. Ci permettiamo poi di chiederci: e gli studenti della primaria? Come possono accedere alla didattica a distanza senza la supervisione di un adulto? Ma i loro genitori continuano a lavorare. E i disabili? Sono soggetti che necessitano di assistenza anche nella didattica in presenza, come può essere in questa situazione assicurato il loro diritto allo studio?
Inoltre, in senso decisamente più generale: le scuole non sono tutte uguali, le famiglie non sono tutte uguali, gli studenti tanto meno. Il rischio di avere scuole di serie A, frequentate da chi ha facile accesso alle tecnologie per chiari motivi socio-economici e scuole di serie B, dove nei fatti la didattica si ferma, perché le condizioni di partenza sono meno vantaggiose, è evidente. Tutti gli studenti e tutte le scuole devono essere messe nelle stesse condizioni e i ragazzi che non avessero gli strumenti dovrebbero vederseli fornire dalla scuole stesse. Con quali risorse aggiuntive, ci chiediamo? Non ci risulta siano stati stanziati fondi per queste questioni. Non basta dire cosa fare, bisogna anche mettere docenti e studenti nelle condizioni di farlo.
Infine ricordiamo a tutti che: ove la didattica a distanza non sia prevista nel PTOF (il 95% dei casi) essa non può essere considerata obbligatoria per gli studenti, che non si può valutare nulla di ciò che viene svolto a distanza, se non come compito a casa (al massimo) e che tanto meno si può interrogare a distanza.
Infine, non possiamo non chiederci se queste misure di emergenza vogliano rendere normale l’uso di strumentazioni tecnologiche e di modalità didattiche che depotenziano il ruolo dei docenti e della relazione educativa, nella consapevolezza che gli strumenti informatici non sono neutri, bensì merce che si vende sul mercato, con tutte le implicazioni che ciò comporta a livello di gestione dei dati personali, ma anche di entrata dei privati nel mondo dell’educazione, di snaturamento della scuola. Da anni il settore dell’istruzione è diventato appetibile per una economia capitalistica in crisi che fa soldi sui diritti fondamentali (sanità e istruzione in primis), se questa emergenza fosse l’occasione per fare un ulteriore passo nel processo della sua privatizzazione, sarebbe gravissimo e inaccettabile.