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Approfondimenti

Le ipocrisie della riforma dell’IRPEF

Roma,

Il governo sta concentrando la sua difesa della Legge di Bilancio attorno alla questione di dove vadano i benefici della riforma dell’IRPEF, contestando che la gran parte delle risorse vada alle fasce di reddito più alte. Il ministro Leo difende la sua riforma dell’IRPEF sostenendo che ben ¾ dei beneficiari dichiarano redditi sotto i 50mila euro. La Meloni attacca l’opposizione che, secondo lei, vorrebbe colpire coloro che hanno un reddito di 2400 euro mensili, mentre lei li vuole sostenere e quindi difende la stessa riforma perché andrebbe in quella direzione. E vari esponenti del governo Meloni invitano a giudicare complessivamente le quattro manovre dal 2022 in poi, sostenendo che le misure assunte negli anni hanno privilegiato gli scaglioni più bassi della tabella IRPEF.

Questa discussione, però, risponde ad una precisa logica di distrazione di massa, mettendo al centro argomenti che servono a nascondere la realtà dei fatti. Andiamo per punti.

Primo: le risorse messe a disposizione dal governo per affrontare l’enorme problema della perdita di potere d’acquisto delle retribuzioni sono irrisorie e non possono pertanto produrre alcun effetto significativo. Che poi siano distribuite ai settori di ceto medio o medio-alto piuttosto che nei settori maggiormente in difficoltà è un elemento assolutamente secondario.

Secondo: la ragione di questa limitatezza delle risorse messe a disposizione del tema del riequilibrio del reddito sta nella scelta di dedicare tanta parte della spesa alle armi e nella volontà di lasciare indisturbati i grandi patrimoni e gli extraprofitti di banche e aziende energetiche. Basti pensare che gli istituti bancari hanno realizzato negli anni 2022, 23 e 24 la bellezza di 112 miliardi di utili netti per avere la dimensione dell’enorme spostamento di risorse.

Terzo: in Italia le disuguaglianze sociali hanno raggiunto livelli altissimi. A metà del 2024 il 10% più ricco dei nuclei familiari possedeva oltre 8 volte la ricchezza della metà più povera delle famiglie, mentre il 5% più ricco delle famiglie è titolare del 47,7% della ricchezza nazionale (dati Oxfam Italia).

Quarto: il sistema fiscale ha perduto gran parte del suo carattere progressivo essendo state dimezzate le imposte sulle società, avendo i vari governi ridotto le aliquote e approvato una forte riduzione su quelle più elevate, essendosi ampliata la possibilità di elusione per le società multinazionali ed essendo cresciuti a dismisura (lo ha riconosciuto recentemente anche il Presidente della Repubblica) i redditi dei manager e dirigenti delle grandi aziende. Quando si parla di fisco poi, non bisogna dimenticare il peso di una tassa come l’IVA che, sommata ad altre imposte indirette sui consumi, contribuisce a rendere ancora meno progressivo l’intero sistema fiscale.

Pe rispondere a questa situazione occorre battersi per cose molto precise e concrete: fermare il riarmo, tassare le banche e i grandi patrimoni, calmierare i prezzi dei beni di prima necessità ed eliminare l’IVA da questi e, infine, la cosa più importante, far salire i salari minimi a 2000 euro, adeguando di conseguenza tutte le altre retribuzioni, reintrodurre la scala mobile e portare le pensioni minime a 1500 euro.

L’opposizione parlamentare e sindacale non riesce a dire queste cose semplici e chiare e probabilmente non può dirle. Sul riarmo è completamente complice. Sulla tassazione delle banche e dei patrimoni registra una grande divisione al suo interno e, comunque, quando poteva decidere in tal senso non lo ha fatto e quindi non ha la credibilità per poter avanzare una proposta simile. E sui salari continua a sostenere un sistema di accordi interconfederali che blocca le retribuzioni sotto il tasso di inflazione.

Alle ipocrisie del governo bisogna rispondere con il linguaggio della verità. E prepararsi allo sciopero generale del 28 novembre.