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Editoriale

Trieste, una riflessione più ampia sull'immigrazione

Trieste,

Lo spunto da alcune gravi dichiarazioni in Consiglio regionale Friuli Venezia Giulia

Perdere tutto fuorché la ragione

Com’è cambiato questo Paese, con esso la sua comunità, da quando nel 1965 don Lorenzo Milani veniva coinvolto in un processo per apologia di reato, per aver difeso l’obiezione di coscienza al servizio militare obbligatorio di leva. Per quella sua difesa pubblica, dopo un’assoluzione di primo grado, il priore di Barbiana è condannato in appello, ma il reato, recita la sentenza postuma, “è estinto per la morte del reo”.

Da quando padre Ernesto Balducci fu anch’egli sottoposto a processo per lo stesso motivo e condannato per apologia di reato, scontando otto mesi in carcere.

Più vicino ai nostri giorni, nel 2014 lo scrittore Erri De Luca veniva sottoposto a procedimento penale per alcune frasi dette e pubblicate da un quotidiano e riferite alla nocività ed inutilità del progetto denominato” TAV Torino-Lione”. In esse lo scrittore affermava di essere “… convinto che il TAV sia un’opera inutile e continuo a pensare che sia giusto sabotare quest’opera”. Il processo, concluso a fine 2015, vide De Luca assolto perché il fatto non sussiste.

Questi (ed altri) appena ricordati sono, in buona sostanza, declinazioni di quella libertà di manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione prevista dall’art. 21 della Costituzione.

Tutti possiamo osservare quanta fatica ha incontrato l’applicazione concreta di quel principio costituzionale se – ancora oggi - uno scrittore (oppure un cittadino-militante) può essere sottoposto a giudizio per la sua parola contraria in materia di grandi opere.

Tuttavia, ad avviso di questo sindacato non tutte le manifestazioni del pensiero hanno la dignità delle parole dette e scritte negli esempi citati (ed altri potremmo farne, con nomi meno noti all’opinione pubblica).

Non sempre una manifestazione del pensiero può invocare a sé la tutela prevista dalla Costituzione.

Ad esempio, la legge 16 giugno 2016, n. 115 attribuisce rilevanza penale alle affermazioni negazioniste della Shoah, dei fatti di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, come definiti rispettivamente dagli artt. 6, 7 e 8 dello Statuto di Roma, istitutivo della Corte penale internazionale.

Ancor prima, con la Legge 13.10.1975, n. 654 anche l’Italia condanna “ogni propaganda ed ogni organizzazione che s'ispiri a concetti ed a teorie basate sulla superiorità di una razza o di un gruppo di individui di un certo colore o di una certa origine etnica, o che pretendano di giustificare o di incoraggiare ogni forma di odio e di discriminazione razziale, e si impegna ad adottare immediatamente misure efficaci per eliminare ogni incitamento ad una tale discriminazione od ogni atto discriminatorio, tenendo conto, a tale scopo, dei principi formulati nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo”.

In questi anni, con frequenza pressoché quotidiana, i mezzi di comunicazione riportano frasi e\o scritti di politici di varia estrazione e qualifica (parlamentari, consiglieri regionali, consiglieri comunali e così via) oppure di gruppi organizzati ovvero singoli cittadini nei quali è manifestato disprezzo e discriminazione verso alcuni cittadini stranieri fino al punto di affermare che “a quella genti lì” “sparerebbe tranquillamente, tranquillamente” oppure dichiarazioni analoghe (se non peggiori) per contenuto.

Nella maggior parte dei casi esse sono metabolizzate a tal punto da non suscitare alcuna riflessione pubblica nella cittadinanza; talvolta, all’opposto, innescano fenomeni di condivisione. Pochi si indignano, nonostante tutto ed ancora oggi.

Anche in questi anni pare manifestarsi una sorta di “zona grigia”: essa rappresenta un aspetto importante della società nella quale l’animo umano, davanti al progressivo impoverimento – politico, economico e culturale – di significative fasce di popolazione, non sceglie l’unione e la solidarietà contro quanti hanno la responsabilità della loro condizione ma la cosiddetta “lotta tra poveri”.

Dall’altro lato, questa sorta di “zona grigia” si regge anche sull’azione di quanti, non appartenenti alle classi svantaggiate dalla competizione e dalla “meritocrazia”, alimentano e promuovono la lotta tra poveri perché sono consapevoli che così facendo consolidano i vantaggi, spesso arbitrari e discrezionali, conseguiti nel tempo e ai quali non intendono rinunciare.

A ben guardare, pertanto, un privilegiato quando afferma che sparerebbe a “quella gente lì” (o altro e peggio ancora…), non manifesta un sintomo di pazzia ma dimostra di aver perso tutto fuorché la ragione.

Firmato:

USB – Unione Sindacale di Base Pubblico Impiego

Università degli studi di Trieste

Ferdinando ZEBOCHIN

(usb@amm.units.it)

 

Trieste, agosto 2020