Le timidissime chiusure domenicali e festive emanate durante il lockdown hanno mostrato tutta l’infondatezza delle drammatiche previsioni delle grandi catene commerciali fatte di cali talmente drastici delle vendite da dover dimezzare i dipendenti.
Ricordiamo come le liberalizzazioni, introdotte nel 2012 con il Decreto Salva Italia, dal governo Monti, erano state annunciate come volano per l’occupazione e la ripresa economica.
I lavoratori sarebbero stati liberi di scegliere il lavoro festivo o domenicale, percependo una maggiorazione rispetto all’orario ordinario e vedendosi comunque garantito il giorno di riposo settimanale.
I consumatori avrebbero avuto il libero accesso agli acquisti, anche in giorni e in orari considerati fuori dal consueto.
Dopo sette anni di liberalizzazioni, nessuno degli eventi positivi annunciati si è realizzato.
Anzi, in sette anni sono stati persi 30 mila posti di lavoro nel settore e quella che doveva essere una libera scelta si è trasformata in un’imposizione sia per i lavoratori sia per i consumatori.
Ai lavoratori viene imposto, di legge, il lavoro domenicale e di fatto, quello festivo.
Infatti, i dipendenti che rifiutano il lavoro festivo, com’è nel loro diritto, vengono spesso discriminati dal datore fino a rischiare il posto di lavoro.
Se la legge ha consentito le aperture domenicali e festive, sono stati poi Cgil, Cisl e Uil a rendere obbligatoria la prestazione lavorativa, formando i rinnovi contrattuali nel 2012 e nel 2015.
La stessa imposizione di fatto investe i consumatori che, lavoratori anch’essi, sono costretti a turni talmente frammentati e flessibili da non poter fare la spesa in un normale pomeriggio feriale. Pertanto, andrebbe rivendicata, non la libertà di fare la spesa la domenica o il 1 Maggio, ma una riduzione significativa degli orari di lavoro a parità di salario che permetta di dedicare a se stessi o alla propria famiglia le domeniche piuttosto che rinchiusi in un centro commerciale.
L’impegno del ministro Di Maio a legiferare in tal senso è al momento caduto nel vuoto, nulla è stato fatto neanche sul monitoraggio dei livelli di precarietà e sfruttamento per i lavoratori assunti per coprire i turni domenicali e festivi.
In base all’inchiesta condotta da Usb, su più di tre milioni di occupati nel settore, il 56% dei neo assunti per lavorare soltanto nel fine settimana ha un contratto atipico, i part time superano il 30%. L’esercito dei lavoratori domenicali è donna, giovane, under 35 e instabile, spesso non vengono assunte direttamente dal centro commerciale come gli altri, ma sono personale somministrato di cooperative esterne, costrette ad una contrattazione peggiorativa rispetto al ccnl del Terziario.
Se il Governo però è silente, le Regioni e addirittura i singoli Comuni possono limitare le aperture nei propri territori.
Usb esorta le istituzioni locali a schierarsi dalla parte dei lavoratori e dei diritti.
Il sindacato ribadisce il proprio no all’obbligo, scritto o velato, al lavoro domenicale e festivo. Non deve esserci però alcuna ricaduta occupazionale o salariale per i lavoratori, non accetteremo l’ennesima scusa della Grande distribuzione per scaricare sui lavoratori i costi e mantenere per se i profitti.
Usb Commercio