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Trasporti

Porti e Genocidio e Armi; USB Trasporti: la Filt eviti di raccontarsi storie altrimenti sottovaluterà di nuovo quanto sta accadendo

Roma,

In questi giorni concitati, mentre la Flotilla è sempre più vicina alle sponde di Gaza e a un probabile attacco da parte dell’IDF, e mentre si predispone la risposta necessaria con lo sciopero generale in deroga alla legge da parte di USB e della CGIL, l’ultima cosa di cui si sente il bisogno sono le polemiche tra organizzazioni.

In qualità di responsabile dei trasporti di USB, però non posso non rispondere alle dichiarazioni fatte dal segretario della Filt Stefano Malorgio su “La voce delle lotte” del 30 settembre scorso riguardo la primogenitura delle lotte contro il traffico delle armi nei porti da parte della sua organizzazione perché la storia è andata in tutta altra maniera.

Devo ricordare che nel 2019 è il Calp di Genova, a quei tempi collettivo di portuali molto vicino alla Filt Cgil, in piena autonomia che effettua il coraggioso blocco della nave Bahri Jazan con a bordo armamenti per la guerra nello Yemen, ponendo per la prima volta con forza e coraggio la questione dei nostri porti liberi dalle armi e dalle guerre.

Successivamente, gli stessi portuali che avevano partecipato a questa azione vengono incredibilmente incriminati per associazione a delinquere dalla procura di Genova; credo che sia proprio la gestione di questa orrenda situazione uno dei fattori che spingerà la quasi totalità dei membri del Calp a conoscere e ad aderire a USB.

Ed è proprio dal confronto che abbiamo aperto insieme a questi portuali dentro le strutture della nostra organizzazione sul fatto che il lavoro debba ripudiare le armi e la guerra che nasce la consapevolezza di quanto possa essere importante il protagonismo dei lavoratori e lavoratrici nel bloccare il traffico di morte nelle infrastrutture strategiche del Paese.

L’ingresso nell’economia di guerra dal 2022, l’inizio del genocidio in Palestina e l’avvio del grande piano di riarmo promosso dalle UE rappresentano il combinato disposto che ci spinge prima a studiare insieme ai legali di Ceing e successivamente a mettere in pratica come USB due azioni sindacali a sostegno di chi chiede di non lavorare direttamente o indirettamente per la guerra: lo sciopero contro il carico e scarico di armi e l’obiezione di coscienza.

Da giugno di quest’anno, abbiamo dovuto applicare lo sciopero delle armi all’aeroporto di Montichiari a Brescia, nei porti di Livorno e di Piombino ma soprattutto nel porto Genova, nel quale sono transitate 3 navi con carichi di morte in poco meno di 60 giorni.

A parte l’ultimo episodio dell’8 agosto a Genova per la nave Bahri Yunba, dove in effetti la Filt Cgil di Genova è stata finalmente protagonista del blocco del carico di materiale bellico, non mi risulta altre azioni concrete né nelle ultime settimane né in questi ultimi anni da parte di questa organizzazione verso la questione della guerra e delle armi.

Evitare di raccontarsi storie su quanto è davvero accaduto non vuole essere una questione di rivendicare la primogenitura né di sottolineare quanto siamo stati bravi; è piuttosto l’invito a non ignorare più da dove nasce l’enorme mobilitazione che si è sprigionata il giorno del 22 settembre, che non è figlia del solo caso ma frutto anche di un percorso che noi abbiamo scelto assumendoci responsabilità e difficoltà non secondarie.

Quel giorno rappresenta per chi l’ha vissuto in prima linea come me e tutti gli attivisti e le attiviste di USB, un momento di forte rottura che sarebbe grave se un sindacato come la Filt Cgil continuasse per una seconda volta a sottovalutare o valutare male.

Sono d’accordo che non si debba mettere il cappello sui tanti movimenti che hanno contribuito a riempire più di 80 piazze il 22 settembre ma tantomeno nessuno, specialmente chi dirige una federazione del genere, può ignorare come e da dove una parte importante di quel milione di persone si è messa in moto.

Per quanto mi riguarda, oltre la questione imminente della flotilla, il punto vero è comprendere come proseguire su un percorso che è tutt’altro che concluso: la battaglia contro il genocidio in Palestina che non può che passare dal blocco di tutte le merci da e verso Israele, come si sta provando a fare a Livorno, lo sciopero delle armi verso tutti i teatri di guerra e l’obiezione di coscienza per lavoratori, ricercatori e università, come già hanno fatto circa 170 ricercatori e ricercatrici all’Istituto Superiore di Sanità.

Ma soprattutto, la vera sfida sarà quella di collegare la grande e inaudita mobilitazione per la dignità dell’essere umano e contro le guerre e le sopraffazioni a una nuova grande stagione di rivendicazioni per il salario, per i diritti e per la salute e sicurezza sul lavoro. Questa può essere la chiave per recuperare la distanza tra il mondo del lavoro e le masse del 22 settembre. Ci saranno molti lavoratori e lavoratici che rimarranno semplicemente scettici ma sono convinto che molti altri, forse di più, non vedono l’ora di rompere lo schema asfittico che ha caratterizzato il sistema di rappresentanza degli ultimi anni.

Questo è il terreno di confronto e di scontro dove noi come USB, in particolare nei settori strategici come i trasporti, vogliamo misurarci non solo con i nostri iscritti ma anche con tutti quei lavoratori e lavoratrici che ci hanno incontrato in queste settimane.

 

Roma, 1 ottobre 2025

 

p/USB Trasporti

Francesco Staccioli