Tra i risultati “instabili” delle elezioni e l'insediamento dei nuovi “onorevoli”, la “chiusa” della Cappella Sistina e il nuovo Papa, la fuga indiana dei due Marò e l'occupazione del palazzo di giustizia di Milano, sembra proprio che l'informazione e la politica abbiano dimenticato che i problemi del paese e di chi tenta di viverci sono altri.
Ci pensa l'ISTAT a tentare di riportare tutti con i piedi per terra rappresentando un'Italia nella quale ormai milioni di famiglie convivono con la povertà, con la disoccupazione e con i licenziamenti, perdono la casa o non possono neanche pagare l'affitto o il mutuo, le medicine e la sanità.
Un'Italia ammutolita e frustrata che riversa la sua rabbia non nelle strade e nelle piazze italiane, come avviene in altri paesi europei colpiti dalla crisi, ma dentro la cabina elettorale restituendo un risultato fortemente e forse positivamente destabilizzante ma subendo in silenzio la violenza di un sistema che preserva e finanzia banche e banchieri e non riversa neanche più le briciole su chi vive nella più completa indigenza.
Quella che in altri tempi si definiva “proletarizzazione” delle fasce medie della popolazione oggi è realtà quotidiana e diviene nuovamente attuale. Come attuale ridiventa la “lotta di classe”, non quella che i lavoratori agivano per migliorare le proprie condizioni di vita e di lavoro ma quella che i padroni stanno imponendo attraverso la riduzione dei salari e delle pensioni, l'aumento dell'età pensionabile, della disoccupazione e della precarietà e il taglio secco di diritti e democrazia.
Ci disturba e ci fa incazzare sentire politici vecchi e nuovi dissertare su problemi marginali e scontrarsi in scaramucce istituzionali lontane dalla quasi totalità della popolazione italiana, mentre c'è chi non arriva ormai al quindici del mese ed è costretto ad andare a mangiare nelle “mense dei poveri”.
Ci disturba, ci fa incazzare e ci imbarazza il silenzio di queste settimane di Cgil, Cisl e Uil che si sono apparentemente divise nella campagna elettorale e sul voto e ora rimangono in silenzio terrorizzate dalla possibile perdita di potere delle loro burocrazie e soprattutto dall'eventualità che lo tsunami possa finalmente riversarsi anche sulle loro sedi, sui loro privilegi, sulle loro aziende e sulle loro “trattative” a perdere con aziende e governi di tutti i colori.
Non sappiamo se si farà un governo, se si faranno accordi su inciuci di vario tipo o se ci saranno nuove elezioni, ma quel che interessa oggi al Paese, quello reale che vive e che soffre nonostante le teatrali sceneggiate di nuovi e vecchi protagonisti della politica italiana, è altro.
Vogliamo che si parli di lavoro e di disoccupazione, di fabbriche e posti di lavoro in crisi, di pensioni e di reddito sociale, di salute e ambiente, di lotta all'evasione fiscale e di patrimoniale, di ridiscussione del debito pubblico, dei trattati europei e di euro, del futuro dei giovani e di quelli che non riescono ad andare in pensione.
Insomma, vogliamo che si discuta dei nostri problemi e se non lo faranno loro dovremo continuare a farlo noi, magari con più forza e gridandolo nelle piazze e nelle strade, più disturbati, più incazzati e sempre meno imbarazzati.