La bozza di decreto sul riparto dei fondi del FFO (Fondo di finanziamento ordinario) per l’anno 2024 predisposta dalla Ministra Bernini ha provocato le immediate e giustificate reazioni da parte della CRUI che, però, ben poco ha fatto finora per fermare l’impoverimento del sistema universitario pubblico, processo accentuato dalla riforma “Gelmini” del 2010.
Dalla bozza emerge un taglio “reale” di mezzo miliardo di euro rispetto allo stanziamento del 2023. Il punto, tuttavia, non è solo di quantità delle risorse ma, soprattutto, di “qualità” del taglio presentato. Infatti, 385 milioni saranno sottratti alla quota base del FFO destinata alle spese istituzionali delle università. Ovvero a quella quota di finanziamento non sottoposta alle dinamiche valutative dell’ANVUR, dinamiche alla base della polarizzazione socio-territoriale del sistema universitario italiano.
Inserita in una analisi complessiva di quanto sta succedendo nel nostro Paese, in particolare relativamente al capitolo stato sociale, a questo punto ci domandiamo se anche questa bozza di decreto non debba essere letta nel più generale contesto di disarticolazione territoriale e polarizzazione sociale che il Governo in carica intende perseguire col progetto di autonomia differenziata.
È bene ricordare che si tratta di risorse (già nel 2023 tale quota era arrivata a contare meno del 50% del FFO) che dovrebbero garantire la sopravvivenza stessa delle università e che, invece, si troveranno sempre più pungolate dalla necessità di reperire su un “mercato della ricerca” i capitali necessari a garantirne il funzionamento adoperandosi in una esasperante operazione di marketing territoriale. Registriamo da tempo, fino ai limiti del grottesco, la riduzione delle Università in “aziende territoriali” con una propria offerta da magnificare per attirare la clientela.
La risposta della Ministra alle legittime e giuste osservazioni sollevate dalla CRUI può benissimo essere letta come una richiesta, rivolta agli Atenei, di gestione efficiente dell’agonia. E a nulla vale il richiamo delle risorse del PNRR da parte della Ministra, che sa bene essere destinate a spese di progetto e non alle spese correnti per il personale e per il funzionamento ordinario degli Atenei.
L’Italia spende per l’università meno dell’1% del PIL, mentre la media OCSE si attesta all’1,6%. Venirci a parlare di “cifre infondate” e di “polemiche pretestuose” è non solo una fuga dalla realtà, ma la conferma di un progetto e visione per il sistema universitario italiano funzionale ad affrontare la crisi, sacrificando buona parte del Paese, in particolare le sue classi sociali deboli e i suoi territori più fragili.
Parliamo di misure che toccano milioni di persone, tra studenti, personale tecnico amministrativo e bibliotecario, docenti e ricercatori, i quali peraltro sono già in apprensione per la riforma delle posizioni di ricerca e dell’ordinamento delle Università e degli Enti di ricerca, che è stata annunciata dal Governo.
Riteniamo inaccettabile il prosieguo di una simile politica, ritenendo che occorra invertire una rotta che sta portando il sistema universitario, così come l'intero servizio pubblico, verso il declino, distruggendo uno dei pilastri del welfare sociale.
L'appello della CRUI alla Ministra Bernini non può quindi che trovarci d'accordo. Annunciamo fin da ora che ci rendiamo disponibili per un'azione di protesta e di lotta congiunta ed unitaria del mondo accademico contro i tagli prospettati, qualora la Ministra non dovesse riaprire il confronto e rivedere la bozza di decreto.
Come settore Università di USB ci prepariamo ad un eventuale sciopero nazionale, che auspichiamo il più unitario possibile, in tutti gli Atenei nel caso i tagli dovessero essere confermati dal MUR.
Roma, 21.07.2024
USB Pubblico Impiego Università