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Logistica

Un enorme nemico ipotetico: sulla conclusione delle indagini della Procura di Piacenza contro le lotte nella logistica

Piacenza,

di Jacobo Sanchez Codoni *
“Da una poltrona nell’ufficio della sua tenuta di Tarrytown si scagliò contro un enorme nemico ipotetico: la mancanza di virtù”.
La citazione è tratta da “Belli e dannati”, capolavoro assoluto che Francis Scott Fitzgerald scrisse nel 1922 che racconta la discesa agli inferi di una bella coppia la cui disgrazia cristallizza nella
crisi di 1929, a mio avviso molto superiore al rinomato Grande Gatsby. La virtù può definirsi come “disposizione naturale a fuggire il male e fare il bene, perseguito questo come fine a sé stesso, fuori da ogni considerazione di premio o castigo”.
A me piace pensare che la virtù sia la dea degli atei.
Come noto, la Procura di Piacenza sta indagando i dirigenti dei sindacati di Base USB e Sicobas per i reati, tra gli altri, di associazione a delinquere (art. 416 codice penale) ed istigazione alla
violenza privata (art.610 c.p.): siccome ho conoscenza diretta di circostanze rilevanti dico la mia, apportando una serie di dati, incomprensibilmente omessi nelle 346 pagine di ordinanza in tema
di misure cautelari emessa dalla Procura di Piacenza, con le quali alcuni sindacalisti vennero sottoposti ad arresti domiciliari, misure poi revocate dal Tribunale del Riesame di Bologna.
Ora le indagini sono concluse, così è stato comunicato agli indagati, con provvedimento del 8.3.24 i quali al momento non hanno ricevuto alcuna formale richiesta di rinvio a Giudizio.
Mi concentro su due delle vicende poste a fondamento dell’Ordinanza.
Il 16 aprile 2019, 30 lavoratori salirono sul tetto del magazzino della multinazionale olandese GLS sita in zona industriale a Piacenza, ove rimasero per alcuni giorni e 25 di novembre 2020
quando alcuni lavoratori – sempre dello stesso gruppo – salirono sugli scaffali del medesimo magazzino, rimanendovi a modo di protesta per circa 3 ore. Le informazioni assenti, imprescindibili per contestualizzare taluni fatti, sono le seguenti.
La salita sul tetto del 2019 fu un atto di protesta avverso 33 licenziamenti intimati in seguito a 5 giornate di sciopero. Tali licenziamenti furono annullati dalla Corte d’Appello di Bologna, la quale dispose – con
separate sentenze nr 545/2020 e 631/2021 – la reintegrazione sia del primo gruppo di magazzinieri licenziati, sottoposti ragionae temporis alla disciplina della legge c.d. Fornero, sia del secondo gruppo di licenziati, in regime di Jobs Act per via della minore anzianità di servizio.
Ora la cassazione, ha confermato, in maniera definitiva, l’illegittimità dei licenziamenti (sentenza 6787/24 del 14.3.2024).
Se i licenziamenti erano illegittimi, le proteste erano dunque fondate.
Solo per la cronaca conviene ricordare che la società provò pure a chiedere la “revocazione” della prima sentenza di Appello (rimedio estremo, previsto dall’art.295 c.p.c.) adducendo, piuttosto peregrinamente, che i lavoratori si erano avvalsi di prove false nel corso del Giudizio: ricorso respinto (sentenza Corte Appello Bologna 25/2021): nulla era stato trascurato nel corso dei processi, dunque le ragioni alla base delle proteste, erano blindate.
Il 25 di novembre 2020, il primo gruppo di lavoratori, vinta le causa che annullò i licenziamenti si presentò in magazzino per essere reintegrato, come disposto in sentenza.
Tale giorno gli fu opposto che tale reintegrazione non sarebbe stata possibile, perché la società non operava più presso il magazzino in quanto era stata posta in liquidazione. I lavoratori in tale sede spiegarono, anche ai carabinieri presenti, che la “nuova” società era in sostanza la medesima “vecchia” società e che dunque, nella sostanza, l’azienda, che era sempre la stessa, stava disapplicando una sentenza vincolante di una Istituzione dello Stato.
Siccome la società non diede corso alla reintegrazione in servizio una parte del primo gruppo di lavoratori licenziarti decise di protestare, arrampicandosi sugli scaffali interni al magazzino, a modo di protesta, per tre ore. Così i lavoratori si videro costretti, di nuovo, a adire l’Autorità Giudiziaria, chiedendo che venisse accertato il diritto alla reintegrazione presso la nuova azienda visto che tra la vecchia e la nuova azienda era avvenuto un trasferimento ex art.2112 c.c.: cioè si trattava della stessa azienda.
E di nuovo la magistratura accolse i ricorsi in via d’urgenza dei lavoratori, accertando che ambo le società erano in realtà la stessa, condannando la nuova società Natana.doc SpA a reintegrare tutti i lavoratori, con rispettivi provvedimenti d’urgenza del Tribunale di Piacenza r.g. 680/2020-1 del 5.12.20, confermato con ulteriore provvedimento del 13.4.21 ed r.g.77/2021 del 18.1.22 confermato pure in sede di reclamo con provvedimento r.g.58/22 del 5.7.22.
Quindi non solo i licenziamenti erano illegittimi, ma pure la società convenuta era stata sgamata nel -goffo- tentativo di evadere le proprie responsabilità con il tristemente classico schema delle scatole cinesi. Altre informazioni omesse.
Con le sentenze gemelle della Corte di Bologna, l’azienda fu condannata a risarcire i lavoratori con 12 mensilità ciascuno: siccome erano 31 i lavoratori licenziati e prendevano al mese circa 1.900 euro globali di fatto (comprensivi di istituti differiti, quota di 13ma ecc), l’azienda risulta ad oggi debitrice nei confronti dei lavoratori, per oltre 600 mila euro.
L’azienda è stata altresì condannata a pagare al INPS i contributi previdenziali maturati dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione, dunque ad oltre 350 mila euro complessivi, ad oggi non versati.
Mentre Giovanni Attanasio detto “Il Presidente” procuratore e legale rappresentate di fatto della Natana.doc SpA – l’azienda condannata a reintegrare i lavoratori – è stato indagato per reati di estorsione e di evasione fiscale in rispettive indagini delle Procure di Salerno (del 2019-2020) e di Vicenza (del 2022).
Come noto l’art.41 comma 2 della Costituzione prevede che l’iniziativa economica privata non possa svolgersi in contrasto con l’utilità sociale od in modo da ledere la salute, ambiente, sicurezza o dignità umane.
A fortiori contrastare chi viola tale precetto è un dovere civico sancito dall’art. 4 comma 2 della Costituzione: costituisce dovere dei cittadini concorrere al progresso materiale o spirituale della società.
In altre parole, le azioni poste in atto dai lavoratori organizzati nel sindacato erano, non solo costituzionalmente integerrime, ma pure virtuose, anche se operate attraverso vivaci forme di protesta, in quanto avevano ad oggetto il contrasto di plurime condotte illegali.
Tali forme di protesta sono state storicamente ammesse ed acclamate dalla collettività, che ancora oggi usufruisce dei benefici sociali da esse derivate; oggi il sistema vuole annichilirle, criminalizzando la forza propulsiva dei dissenzienti, perfino nelle ipotesi in cui essi possiedono, oltre alla ragione morale, anche quella giuridica.
La Virtù risulta del tutto assente in un’indagine monca, decontestualizzata e macroscopicamente priva di gravi e concordanti elementi che evidenziano, invero, la fondatezza delle rivendicazioni dei lavoratori indagati.
La Procura di Piacenza ha assunto l’ineffabile veste del ‘grande nemico ipotetico’ di cui parlava F.S. Fitzgerald, che giustamente gode di immensa ammirazione ed infinita riconoscenza, compresa la mia, soprattutto per quel capolavoro, che consiglio a tutti i belli e dannati della terra.


* avvocato del lavoro componente del Centro di Iniziativa Giuridica Abd El Salam