L’analisi dello stato di salute del settore della Vigilanza Privata e la programmazione dei necessari interventi da parte del nostro Sindacato non possono prescindere da un preliminare esame di quanto si è manifestato nelle scorse settimane. La massiccia presenza di milioni di lavoratrici e lavoratori alle mobilitazioni, che hanno riempito le piazze in occasione degli scioperi del 22 settembre e del 3 ottobre, rappresenta un punto di partenza fondamentale per la nostra riflessione.
Sebbene il comparto sia ormai noto per la sua moderata reattività alle sollecitazioni in materia di agitazioni e scioperi – un atteggiamento dovuto all’immobilismo indotto da oltre trent’anni di silenzio sindacale delle sigle firmatarie del contratto nazionale – in queste occasioni non pochi lavoratori hanno risposto alla chiamata, scendendo in piazza con determinazione.
Le due mobilitazioni, entrambe molto partecipate, ci hanno restituito due dati chiari e inequivocabili:
1. I lavoratori si sono attivati in massa, come mai prima d’ora;
2. Molti di loro hanno disobbedito alle restrizioni sullo sciopero previste dalla Legge 146/1990.
Lo sciopero – pur stigmatizzato come una “mobilitazione per questioni non lavorative” – ha avuto un grande risalto e una forte adesione. Ciò è avvenuto perché un numero crescente di lavoratori ha compreso la stretta connessione tra Palestina, guerra, economia di guerra, salario e stato sociale.
C’è un filo rosso che lega tutto questo, e che il Governo, insieme ad alcuni sindacati concertativi, ha tentato di nascondere.
Il legame tra le mobilitazioni contro il genocidio in Palestina e la condizione economico-sociale del nostro Paese è evidente:
“i soldi non si stampano. Ogni spostamento di risorse verso la spesa militare comporta inevitabilmente il depauperamento delle politiche sociali. Scuola, sanità e istruzione sono solo alcune delle voci di bilancio che, negli ultimi anni, sono state svuotate per favorire l’investimento in armamenti. “Ce lo chiede l’Europa” - o, meglio, “ce lo chiede l’America” che resta il centro di comando delle più efferate e interminabili guerre di ieri e di oggi.”
A chi, tra i detrattori delle manifestazioni, continua a ripetere “scioperate per il salario e non per la Palestina”, possiamo rispondere con chiarezza:
“Scioperare per la Palestina, contro la guerra e contro l’economia di guerra significa scioperare per il salario, per il bene collettivo e per la classe lavoratrice di ogni Paese, direttamente o indirettamente coinvolto.”
Il taglio alla spesa sociale, accompagnato dallo smantellamento dei servizi pubblici a favore di un sistema fondato sul privato – cliniche, laboratori, asili e scuole private – non farà che colpire, in prima battuta, la fascia di lavoratori a medio-basso reddito, che rappresenta la maggioranza del Paese.
Il nostro settore, segnato da una contrattazione povera sotto ogni punto di vista, rientra pienamente in questa categoria.
La partecipazione alle mobilitazioni passate, e ancor più a quelle future, diventa dunque una necessità vitale per le lavoratrici e i lavoratori della Vigilanza Privata. È una questione di sopravvivenza collettiva di fronte a un sistema che ci vuole schiacciati tra salari irrisori, smantellamento dei servizi pubblici e aumento incontrollato dei prezzi, tipico delle economie di guerra.
LO STATO DELLA CONTRATTAZIONE E LA SFIDA DEI LAVORATORI
Dopo un decennio di stagnazione, il contratto collettivo nazionale della vigilanza privata è stato rinnovato solo grazie all’intervento della Magistratura. Le grandi aziende del settore sono state coinvolte in indagini per sfruttamento e caporalato. I sindacati, ricordiamolo, per dieci anni non erano riusciti a ottenere nulla.
L’ultimo travagliato rinnovo ha risolto in parte solo la questione della povertà salariale, ma non quella normativa. Il CCNL rimane pieno di buchi: orari, turni, programmazioni, trasferte, buoni pasto, mancano tutele fondamentali. Come sottolinea Lorenzo Manca (Sicuritalia e Vicesegretario di ANI Sicurezza), il contratto nazionale non è definitivo, ha troppe lacune e va rinnovato anche avviando prima del dovuto il confronto con le Parti. Attenzione: le dichiarazioni dell’associazione datoriale, per noi, non sono gesti di benevolenza. Dietro la richiesta di aprire subito una nuova contrattazione c’è l’obiettivo di bloccare la contrattazione territoriale, l’unica che ha davvero protetto i lavoratori negli anni.
I sindacati concertativi hanno fallito: hanno recuperato la voce solo ora, dopo anni di silenzio, e spesso con scioperi simbolici che hanno lasciato i lavoratori soli. Nel frattempo, i datori di lavoro cercano di fermare ogni forma di contrattazione territoriale e aziendale, che resta la nostra arma più efficace contro lo sfacelo del CCNL.
I contratti integrativi non sono perfetti, ma hanno garantito ciò che il contratto nazionale non dà: modalità chiare per turni e trasferte, buoni pasto, rimborsi, orari di lavoro. Sono elementi fondamentali per una vita lavorativa dignitosa.
Il nostro obiettivo è chiaro: non possiamo lasciare che i lavoratori continuino a vivere alla giornata, senza regole e senza tutele. Non possiamo accettare turni massacranti, straordinari non retribuiti, assenza di permessi e ferie, rischi in servizio senza protezione. La dignità, la professionalità e il tempo per la propria vita non sono negoziabili.
I sindacati che hanno protetto il sistema delle aziende non agiranno per noi.
Tocca a noi insieme ai lavoratori costruire un’alternativa: organizzata, determinata e caparbia.
USB - Coordinamento Vigilanza Privata